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CONTATTI GARA

Le iscrizioni dovranno pervenire a:

– CAPOGRUPPO:

Fiorenzo Bertolini
cell. 339 6381706 (whatsapp)

– RESPONSABILE ISCRIZIONE GARA:

Giancarlo Pedrotti
cell. 335 1048929 (whatsapp)

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CLASSIFICHE

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Ordine di Arrivo Gara 2024

Classifica Finale 2024


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REGOLAMENTO

E’ fatto d’obbligo ai partecipanti alla gara (Alpini ed Amici) di essere in possesso del bollino A.N.A., della tessera F.I.S.I. e l’uso del casco al fine di esonerare gli organizzatori da qualsiasi responsabilita’.

Possono gareggiare Alpini in armi se regolarmente tesserati con il gruppo.

Il “Trofeo Caduti di Mori” sarà consegnato al primo classificato dei Gruppi Alpini Trentini.

Saranno premiati i primi 3 atleti di ogni categoria e i primi 10 gruppi classificati.

I premi saranno consegnati solo agli atleti presenti alla premiazione.

Alla gara sono ammesse le seguenti categorie:

ALPINI ED AMICI

Categorie:

Gruppo A1 Classi dal 1989 al 2005;
Gruppo A2 Classi dal 1984 al 1988;
Gruppo A3 Classi dal 1979 al 1983;
Gruppo A4 Classi dal 1974 al 1978;
Gruppo A5 Classi dal 1969 al 1973.

Categorie

Gruppo B6 Classi dal 1964 al 1968;
Gruppo B7 Classi dal 1959 al 1963;
Gruppo B8 Classi dal 1954 al 1958;
Gruppo B9 Classi dal 1949 al 1953;
Gruppo B10 Classi dal 1944 al 1948;
Gruppo B11 Classi dal 1943 e precedenti;

SIMPATIZZANTI

#Maschile
Categoria Unica dal 2006 e precedenti;
Giovani e Ragazzi dal 2007 e successivi.


#Femminile
Categoria Unica dal 2006 e precedenti;
Giovani e Ragazze dal 2007 e successivi.


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PROGRAMMA

Sabato 13 Gennaio 2024

– ore 12:00 Chiusura Iscrizioni;

– ore 16:00 Sorteggio numero di partenza.

 

Domenica 14 Gennaio 2023

– ore 08:00 Inizio distribuzione pettorali presso l’Ufficio Gara (Ristorante Camping Polsa) previo cauzione di euro 50;
– ore 09:00  Apertura Impianti e ricognizione;
– ore 09:30 Partenza 1 Concorrente;

A seguire dopo i dovuti controlli e stesura della classifica ufficiale verrà effettuata la premiazione.

 

Varie

– La quota d’iscrizione alla gara è di euro 10.
– Nel modulo di iscrizione si richiede il numero di matricola della Tessera A.N.A.


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SPORT

Responsabile Sport:
PEDROTTI Giancarlo

Nel corso degli anni si organizzano numerose manifestazioni sportive onorate dalla presenza di molti concorrenti appartenenti ad altri gruppi della Sezione. Nelle gare si distinguono gli atleti del Gruppo Alpini di Mori riportando spesso lusinghieri risultati nelle varie discipline.
Il Gruppo, grazie ad un affiatato team, si è sempre distinto sia nelle gare regionali che anche in quelle nazionali per merito di singoli atleti.
Il Gruppo Alpini “Remo Rizzardi” di Mori (Tn) organizza come ogni anno in collaborazione con Brentonico Ski una Gara di Slalom Gigante intitolata “Trofeo Caduti di Mori” che si svolgera’ sulla pista Montagnola in localita’ Polsa di Brentonico in data 14 gennaio 2024.

 

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Standschützen (Bersaglieri Tirolesi)

di Oswald Mederle

Organizzazione degli eserciti
della monarchia austro-ungarica

Dopo la sconfitta di Königgrätz nel 1866 da parte della Prussia, l’Impero austro-ungarico dovette cedere il Veneto all’Italia.

Un anno dopo, nel 1867, all’interno della monarchia asburgica si raggiunse un compromesso che divise l’impero in due stati indipendenti, l’Austria e l’Ungheria, sotto la guida dell’imperatore Francesco Giuseppe I. L’accordo prevedeva che i due stati avessero in comune tra l’altro i ministeri degli Esteri, delle Finanze e della Guerra con un esercito e la marina militare.

Dal desiderio ungherese di avere un esercito indipendente, nacquero in successione i due eserciti territoriali dell’Ungheria e dell’Austria, che non possono essere paragonati con quelle in altri stati europei dove i territoriali erano più una milizia che un esercito.

Esisteva un esercito comune, dipendente dal Ministero della Guerra K. u. K. Kaiserliches und königliches Heer / imperiale e regio esercito.

Esistevano poi due eserciti territoriali, dipendenti dai due Ministeri della Difesa:

K. K.

kaiserlich-königliche Landwehr

imperial-regio esercito

K. U.

königlich-ungarische Honvéd

regio esercito ungherese

Questi tre eserciti soggetti a tre ministeri diversi furono uniti sotto un unico Comando Supremo.

Una delle differenze principali nell’organizzazione era che i k. u. k. reggimenti di fanteria erano suddivisi in 4 battaglioni, mentre i k. k. e k. u. Reggimenti ne possedevano soltanto tre.

La k. k. Landwehr nel 1914 disponeva di:

37 reggimenti di fanteria – Landwehr-Infanterieregimenter

3 reggimenti di montagna – Landesschützen-Regimenter

2 reggimenti di bersaglieri – Gebirgsschützen-Regimenter di montagna (4°, 27° LIR)

6 reggimenti ulani territoriali – Landwehr-Ulanen-Regimenter

1 Divisione di Landesschützen tirolesi a cavallo

1 Divisione di Landesschützen dalmati a cavallo più artiglieria Landwehr.

Una parte importante è costituita dal Landsturm o leva di massa comprendente:

Reggimenti di fanteria Landsturm – Landsturm-Infanterieregimenter

Bersaglieri del Tirolo – Tiroler Sandschützen

Il SERVIZIO DI LEVA

L’obbligo del servizio militare venne introdotto nell’esercito imperiale a partire dal 1866, ma soltanto nel 1868 si stipulò un accordo tra i due stati Austria e Ungheria. Ci si accodò sul periodo di permanenza nell’esercito comune, nella marina, nella Landwehr/Landsturm e nella Honvéd.

Il servizio militare iniziava col compimento del ventunesimo anno, la durata era di 12 anni dei quali:

· 3 anni nella “Linie” (come attivo)

· 7 anni nella riserva

· 2 anni nella Landwehr (non attivo)

Una novità consisteva nel fatto che d’ora in avanti tutti gli uomini furono soggetti alla leva di massa dal 19° al 42° anno di vita, sempre se non facenti già servizio attivo nell’esercito, nella Landwehr / Honvéd o riserve.

Durante la Prima Guerra Mondiale il periodo di permanenza fu ulteriormente prolungato fino ai 50 anni.

Il servizio volontario per un anno (Einjährig-Freiwilliger-Dienst) era permesso nell’esercito, in marina e nella Landwehr/Honvéd. Il volontario non percepiva il soldo e dovette procurarsi l’equipaggiamento a spese proprie, nei casi dovuti persino il cavallo.

La provenienza degli Standschützen
(Bersaglieri Tirolesi)

All’interno dell’impero asburgico il Tirolo copriva una posizione particolare in fatto di prestazioni militari. Per capire si deve tornare nel lontano 1511 (1512), quando l’imperatore Massimiliano I stilò un accordo con i quattro ceti tirolesi e i vescovi di Trento e Bressanone, regolandovi tra l’altro anche la prestazione militare popolare. Questo fatto per ovvia mancanza di spazio non può essere trattato in questo opuscolo ma fa riferimento alle recenti pubblicazioni sul “Landlibell” delle Province autonome di Trento e Bolzano. Da quel momento in avanti i reggenti del Tirolo iniziarono a sostenere il tiro al bersaglio, prima coll’archibugio e poi con altre armi da fuoco, riproponendosi di attingere a una riserva di combattenti addestrati. Anche se fino alla Prima guerra mondiale nessuno dovette combattere fuori dai confini territoriali, col passare dei secoli ci furono sempre adeguamenti al fabbisogno e in fine anche l’incorporazione nell’esercito permanente.

Alla fine del diciannovesimo secolo si iniziò a aggregare le compagnie dei Bersaglieri Tirolesi (Standschützenkompagnien), che fino allora avevano agito indipendentemente, ai militare. Questi ultimi, ritenendo le compagnie Schützen “corporazioni utili alla difesa territoriale”, li appoggiarono fornendo loro, gratuitamente o a prezzi modici, armi e munizioni al passo dei tempi. D’allora in poi il nome di “Standschützen” venne ufficializzato anche nell’esercito.

Con la legge di difesa territoriale del 1887 fu deciso che la difesa territoriale fosse da considerarsi parte delle forze armate e venisse suddivisa nei Bersaglieri (Standschützen) integrandoli attraverso i casini di tiro e la leva di massa (Landsturm).

Con l’entrata in vigore della legge della difesa territoriale per il Tirolo e Vorarlberg del 25 maggio 1913 (§ 17) e la legge riguardante l’ordinanza di tiro, i poligoni di tiro con i loro soci così come tutte le altre corporazioni di carattere militare (associazioni dei veterani e dei combattenti) divennero parte integrante della leva di massa (Landsturm).

Da quel momento in poi ogni Standschütze iscritto era sottoposto all’obbligo della leva di massa (Landsturmpflichtig) e non lo si poté più ritenere volontario.

Soltanto quei Bersaglieri che aderirono ad un poligono dopo la mobilitazione del 1915 poterono continuare a fregiarsi dell’appellativo di “volontario”.

Una possibile dimissione da un poligono di tiro venne vietata già dall’agosto 1914 in poi per via legislativa.

Secondo la convenzione di Haag i Bersaglieri Tirolesi da questo momento (1913) in poi furono a tutti gli effetti truppe regolari, ma continuando a essere impiegati soltanto nella propria regione (Land) e a difesa del confine territoriale. Negli ultimi anni del conflitto mondiale non fu tuttavia più tenuto conto di questo obbligo, basti pensare ai campi di battaglia dei Sette Comuni a partire dal 1916.

1914

Dopo che il 28 luglio 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale e ne seguì la mobilitazione generale, Theodor Freiherr von Kathrein (Presidente del Tirolo), “come primo tiratore del Tirolo” (Oberschützenmeister) fece un appello ai k. k. casini di tiro e società dei veterani richiamandoli alle armi.

Joly Wolfgang, Standschützen

Agli inizi di settembre 1914, in un appello integrativo, si specificò che gli interessati dovevano essere tra l’età di 19 e 42 anni compiuti, sempre che non fossero già arruolati in un’unità combattente. Si chiese inoltre a tutti quelli che non fossero ancora stati richiamati alla leva di massa di iscriversi nei casini di tiro onde essere in regola con le convenzioni internazionali.

A partire da ottobre/novembre 1914, dopo la pubblicazione delle prime liste dei caduti, l’arruolamento volontario subì una stagnazione.

Negli ultimi mesi dell’anno 1914 venne mandato un ispettore a visitare tutti i casini di tiro, che dovette poi fare rapporto su ogni singola realtà riguardante affidabilità e patriottismo. Nel Trentino, allora già secolare parte del Tirolo, la popolazione era die lingua italiana. Il loro numero viene calcolato in una percentuale di ca. un terzo in rapporto alla popolazione totale tirolese. Pure nel territorio trentino si fondarono già molto prima della Grande Guerra dei casini di tiro. Però la loro collocazione fu maggiore nelle zone rurali che in quelle di città, anche perché la questione venne criticata con veemenza li dove la cittadinanza fu sempre più filo italiana di quella rurale. Di fatto nelle città e nei comuni più grandi i casini di tiro furono molto meno se non inesistenti. Qualche casino cittadino funse persino da ritrovo e copertura a numerosi Irredentisti.

1915

Su tutto il territorio del Tirolo si istituirono delle commissioni di leva che fecero abili molti che in tempo di pace non sarebbero mai stati arruolati. Inoltre si allargò l’età per la leva di massa da 18 a 50 anni compiuti.

Il 9 marzo 1915 il k. u. k. Ministero degli Esteri dichiarò all’ambasciatore italiano che la duplice monarchia era disposta a cedere all’Italia parte del Trentino e dell’Istria in cambio della non belligeranza. Nel Tirolo la notizia si diffuse a macchia d’olio frenando l’euforia patriottica, e in Trentino parte della popolazione non ebbe parole, mentre l’altra parte ne fu sollevata.

Mentre le trattative diplomatiche non portarono ad alcun accordo e così si andò inesorabilmente incontro al conflitto con l’Italia.

A fine marzo, ben poche compagnie erano in possesso dell’equipaggiamento, di fucili e cartucce. Solo quando agli inizi d’aprile le notizie del movimento di truppe italiane a ridosso del confine si accrebbero, ci si mosse. Dal punto di vista politico la chiamata alle armi dei Bersaglieri Tirolesi fu un’incognita; si temeva che questo modo d’agire irritasse l’Italia e la portasse ad un attacco anticipato.

Dopo che l’Italia annunciò la fuoriuscita dalla Triplice alleanza si iniziarono i veri e propri preparativi. Gli “Schützen”abili vennero integrati nelle formazioni da campo e i meno abili formarono i reparti di rincalzo e di sorveglianza territoriale.

Un previsto armamento si ebbe da fare solamente se le unità fossero completamente affidabili. Riguardante l’organizzazione territoriale dei gruppi d’intervento fu specificato che formazioni di madrelingua italiana non dovessero mai ricevere compiti o mansioni autonome, come l’occupazione di passi, gioghi o fortezze, ma sempre in cooperazione con altre unità miste. Pur di non correre alcun rischio, anche dopo la dichiarazione di guerra da parte dell’Italia il 23 maggio 1915, le unità ritenute fedeli vennero impiegate in maggioranza nella costruzione di strade, ricoveri, funivie o trinceramenti. Vennero poste a sorvegliare punti nevralgici nelle retrovie, portare le vivande al fronte e di tanto in tanto fare servizio nelle ridotte avanzate. Se ritenute leali parteciparono anche a combattimenti di prima linea come le formazioni di Ala-Pilcante, o la compagnia Vallarsa-Trambileno, che si dimostrarono combattive come le altre formazioni del Tirolo. Coll’inoltrarsi della guerra la maggior parte delle formazioni trentine furono sciolte, alcune persino dopo poche settimane, solo poche resistettero durante tutto il conflitto finendo la guerra come reparti di lavoratori. Una delle ragioni di ciò fu che i più giovani, raggiunta l’età prescritta, finirono nei reparti di prima linea e i più vecchi, malati ecc. furono congedati.

Riguardanti le armi, al primo giuramento del 1914 gli uomini vennero armati dei propri “Stutzen” da bersaglio. Solamente nella primavera 1915, a causa della generale carenza di armi portatili, le unità furono armate inizialmente con fucili Werndl a monocolpo. Queste armi vennero sostituite ai primi di maggio nei reparti del Tirolo del Nord e Vorarlberg da fucili Mauser tedeschi, modello 1888 (per gli austriaci M1913), e quelli dei tirolesi di madrelingua tedesca a sud del Brennero parzialmente con Mauser sopra citati o Mannlicher di modelli diversi. Per i trentini si mantennero i Werndl e soltanto le unità a ridosso del fronte ricevettero fucili tedeschi tipo Mauser M 1888.

Fucile Mauser M 1888 (M 1913)

Fucile Mannlicher M 1888/90

Fucile Werndl M 1867/77

Fucile Mannlicher M 1895

Mannlicher-Stutzen M 1895

Siro Offelli, Le armi e gli equipaggiamenti dell’esercito Austro-Ungarico

Per garantire la riconoscibilità dei Bersaglieri in servizio di guardia, predisposto già nell’inverno 1914/15, si aggiunse al vestiario borghese o costume regionale una benda giallo-nera sul braccio sinistro per il Landsturm austriaco oppure una benda bianco-verde se si trattava del Landsturm Tirolese.

Bende O bracciali – Archivio Mederle, Bressanone

Bersaglieri Tirolesi tra la Val di Gresta
e il fiume Adige

Il 18 maggio 1915 per ordine di Francesco Giuseppe I furono mobilitati i Bersaglieri del Tirolo (Tiroler Standschützen) e trasportati con treni o trasferiti a piedi al confine con l’Italia. Nella Val d’Adige, dapprima citata come “Etschtalsperre” poi “Sektion Rovereto”, che si estendeva dalla Val di Gresta (Lago di Loppio) fino al Col Santo – Monte Testo, i Bersaglieri vennero aggregati alla 181a Brigata di fanteria. Ed è proprio di una parte di questo fronte che ci occuperemo d’ora in avanti, e precisamente di quello tra la Val di Gresta e il fiume Adige.

Operarono nella zona le seguenti compagnie e formazioni:

– Compagnia Ala-Pilcante

– Compagnia Borghetto

– Compagnia Brentonico

– Compagnia Vallarsa

– Standschützen-Bataillon Brixen

– Standschützen-Bataillon Kitzbühel.

K.k Standschützen Kompanie (Compagnia Bersaglieri) Ala-Pilcante

Fece il giuramento il 19 maggio 1915. Il 27 maggio insieme alla compagnia di Borghetto sostenne uno scontro a fuoco a Ala con truppe italiane subendo perdite non indifferenti. Dopo di che la compagnia si ritirò con la gendarmeria e i finanzieri sulla linea di resistenza a Serravalle e Marco. Nel giugno 1915 la compagnia fu sciolta e i restanti membri trasferiti alla compagnia Vallarsa.

K.k Standschützen Kompanie (Compagnia Bersaglieri) Borghetto

Mobilitata il 20 maggio 1915 si ritirò verso Ala dove partecipò allo scontro con le truppe italiane. Subì la stessa sorte della compagnia Ala-Pilcante.

K.k Standschützen Kompanie (Compagnia Bersaglieri) Brentonico

Venne mobilitata il 20 maggio 1915. Prima fu mandata a ridosso del confine italo-austriaco sul massiccio del Monte Baldo dove costruì le prime trincee difensive, ricoveri e una cisterna per l’acqua. Quando nell’autunno 1915 la pressione italiana aumentò, la compagnia si ritirò prima a Brentonico e poi verso Mori e Nago. Fece pattugliamenti verso le propaggini del Monte Baldo e concorse alla costruzione della strada di guerra da Mori a Brentonico fin quando, nell’ottobre 1915, truppe italiane occuparono il capoluogo dell’altipiano. In successione la compagnia lavorò alle costruzioni di difese in Val di Gresta, alla linea difensiva verso lo Stivo e gestì la funivia che saliva da Vignole presso Arco verso S. Barbara. Sul Monte Creino e Monte Biaena si costruirono postazioni d’artiglieria e caverne, si scavarono camminamenti e trincee. A metà dicembre 1915 venne spostata verso Trento e addebita a nuove mansioni.

K.k Standschützen Kompanie (Compagnia Bersaglieri) Vallarsa

A metà maggio 1916 questa compagnia partecipò insieme a quelle di Imst, Glurns, Gries, Kufstein e Meran I all’offensiva di maggio, detta anche “Strafexpedition”, partecipando alla riconquista austro-ungarica di Mori.

Standschützen-Bataillon Brixen

Il Bataillon Brixen venne riunito per la prima volta venerdì 28 agosto 1914 partecipando a una messa in Piazza Duomo cui seguì il giuramento.

Il 19 maggio 1915 ricevette l’ordine di mobilitazione, il 20 maggio, dopo una messa solenne, si fece un secondo giuramento. Nello stesso giorno si mise in marcia verso la stazione ferroviaria di Bressanone da dove partì in treno per la “Etschtalsperre”. Arrivato nei pressi di Rovereto, il Battaglione occupò la zona di Isera e in special modo le alture tra l’Adige, Asmara e Foianeghe, fino ai pendii a sud di Lenzima, dove nei mesi successivi non si ebbero combattimenti di rilievo.

“E in questo punto deve esserci un errore nel libro di Cletus Pichler quando colloca il Battaglione Bressanone per la fine dell’agosto 1915 sull’altipiano di Lavarone che a mio avviso rimane nei pressi di Rovereto. Il Battaglione menzionato dovrebbe essere quello di Vipiteno.”

A metà ottobre 1915 si registrano tre compagnie in prima linea e una in riserva nelle retrovie, nei pressi di Isera. Dopo l’offensiva austriaca del maggio 1916, il battaglione ormai ridotto a due compagnie fu comandato nelle posizioni di Mori e agli avamposti di Sano, Tierno e alla chiesetta di S. Marco, che erano sotto il frequente e fastidiosissimo tiro delle artiglierie italiane, rimanendovi fino alla fine d’ottobre 1916. Contemporaneamente fu occupata anche Mori Vecchio e la prima parte delle trincee che salgono da Mori Vecchio verso il monte Nagià.

Dopo un periodo di riposo e la permanenza prolungata in Vallarsa il battaglione ridotto oramai a una compagnia, agli inizi dell’inverno 1917/18 tornò nella sezione di Mori. L’8 di gennaio 1918 troviamo la Standschützen-Kompanie Brixen aggregata allo XX Corpo d’armata. Nell’estate del 1918 la compagnia fu unita con quelle di Chiusa e Vipiteno, anche loro oramai ridotte alla forza di una compagnia, sotto il nome di Gruppo Val d’Isarco (Standschützengruppe Eisacktal). Dopo una permanenza sopra il Lago di Ledro si ha solo una notizia di rilievo dei Brissinensi, il 15 luglio 1918, quando partecipano alla conquista del Doss Alto di Nago che andrà perso di nuovo il 4 agosto, ma questa è un’altra storia.

Di un certo interesse è la nota di Anton Mörl nel suo libro “Die Tiroler Standschützen im Weltkrieg”, che specifica che nella 1. compagnia (Bressanone Città) fece servizio Alois Kreidl, uno dei tiratori più affidabili di tutto il Tirolo.

Standschützen-Bataillon Kitzbühel

Il Bataillon Kitzbühel all’inizio della guerra parte per l’Altipiano di Lavarone e arriverà alla fine di marzo 1916 sulle alture a nord di Mori. Qui la 1a compagnia occupò gli avamposti sul Monte Nagià,

Bassorilievo indicante il Standschützen Baon Kitzbühel. Foto Francesco Silli, Mori

la 2a compagnia il Monte Faè. La 3a quelle intorno a Manzano, in Val Gresta sopra la Valle di Loppio e in fine parte delle trincee che scendono verso Mori Vecchio.

A metà maggio 1916 la 2a compagnia fu trasferita prima sul pianoro di Lenzima per poi finire a luglio come guarnigione al Forte Valmorbia.

Il 1° agosto 1916 il Battaglione fu sciolto a sorpresa, la prima e terza compagnia unificate e la seconda assegnata a un’unità di retrovia. Per la fine di settembre 1916 si ha notizia della ricostruzione del Kitzbühel, ma solo in forza di compagnia, che agli inizi di ottobre ritornerà nelle posizioni ben note sul Monte Nagià.

A parte due brevi soggiorni, uno a Ravazzone (dicembre 1916 / gennaio 1917) e l’altro a Besenello (febbraio 1918), il Kitzbühel rimarrà sui pendii sopra la Valle di Loppio tutto il 1917 fino a Pasqua del 1918. Agli inizi di aprile 1918 anche questa compagnia venne unificata con quelle di Kufstein, Rattenberg e Zillertal nella Standschützen-Formation Nord-Osttirol. In giugno avvenne un’ulteriore riduzione sotto il nuovo nome di Standschützen-Gruppe I.

A fine settembre 1918 il Landsturmbataillon Nr. 4 andrà a sostituire la compagnia Kitzbühel che venne comandata a Lana nei pressi di Merano per fare legna in Val d’Ultimo.

Standschützen-Bataillon Reutte I

Io Standschützen-Bataillon Reutte I fu formato nel Maggio 1915 su tre Compagnie, mandato dapprima sull’altipiano di Lavarone fino alla fine del marzo 1916, dall’aprile 1916 fino agli inizi del 1918 andrà a integrare le unità combattenti sul fronte dell’Adige (Etschtalsperre) per finire la Grande Guerra sulle cime del Tonale.

Raggiunse le postazioni sulle pendici sud del monte Faè sopra Ravazzone e Mori passando da Calliano, Volano e Isera. Il 15 luglio 1916 il Battaglione subì la riduzione su una sola Compagnia. Dal dicembre 1916 a tutto l’anno 1917 occupò gli avamposti e le trincee più a est, tra il Piantino e il monte Nagià, sopra il Paese di Loppio. Dall’aprile 1918 fu impiegato sui Monticelli sopra il Tonale dove dovette resistere a ripetuti attacchi italiani. L’8 giugno la compagnia fu unita alla K. K. Standschützen-Kompanie Reutte II col quale concluderà la guerra in zona Tonale.

Conclusione – Bibliografia – Ringraziamenti

L’esistenza di Bersaglieri trentini fu per lungo tempo taciuta o ignorata sia dalle autorità di allora, ma anche da scrittori e pubblicisti a nord e a sud del Brennero per motivi nazionalistici e solamente da una ventina d’anni si inizia a sollevare il velo su una realtà vissuta.

È difficile trovare informazioni di unità trentine all’archivio di Innsbruck o Vienna, i quali a loro volta fanno presente, con tanto di ricevuta alla mano, che come conseguenza del trattato di Saint-Germain, nell’autunno 1919 tutti gli atti riguardanti i Trentini tirolesi furono consegnati in più carrozze ferroviarie alle autorità italiane. Purtroppo a tutt’oggi nessuno sa, dove siano andati a finire.

Termino, affermando che i Bersaglieri del Trentino avessero meritato molto più rispetto dalle autorità militari e civili di allora come pure in un passato recente, ma adesso sta cambiando, e lo si vede anche nel comportamento degli Alpini di Mori.

Bibliografia:

Joly Wolfgang, stai di guardia

Marco Ischia, La tradizione degli Schützen nella Vallagarina

Archivio Mederle, Bressanone

Lorenzo Dalponte, I Bersaglieri tirolesi nel Trentino

Siro Offelli, Le armi e gli equipaggiamenti dell’esercito Austro-Ungarico

Aldo Forrer, Guida lungo li fronte austro-ungarico e italiano

Anton Mörl, Gli Standschützen tirolesi nella guerra mondiale

Cletus Pichler, La guerra in Tirolo

L’ultima guerra dell’Austria-Ungheria

Ringraziamenti:

Provincia Autonoma di Trento

Comune di Mori

Gruppo A.N.A. “Remo Rizzardi” di Mori

Gruppo Storico Trentino

Museo Storico della Guerra di Rovereto

Fucilieri imperiali del Tirolo

Foto:

Archivio Mederle, Brixen

Famiglia Lusser, Bressanone

Francesco Silli, Mori

Archivi di guerra di Vienna




LOPPIO

RONZO CHIENIS

PANNONE E VARANO

VALLE SAN FELICE

MANZANO E CORNIANO

NOMESINO

LOPPIO

Loppio contava 142 abitanti nel 1993 e 154 nel 2001, dei quali parte residenti sul comune catastale di Valle San Felice e parte su quello di Mori. Da qualche decennio Loppio ha assunto l’aspetto di paese, mentre in precedenza era costituito dal grande Palazzo dinastia dei Castelbarco con annesse le abitazioni dei loro dipendenti e ”manenti” o mezzadri.
Attorno al palazzo vi era un grande parco, che comprendeva il Lago di Loppio, mentre le vaste proprietà agricole e boschive dell’antica famiglia si estendevano verso la Val di Gresta, verso Mori e su quel di Brentonico.
A Loppio sono stati rinvenuti reperti d’epoca tardo-romana e recentemente sull’isola di S. Andrea, che si erge in mezzo all’ex lago di Loppio, sono stati rinvenuti, e si stanno tardo ancora scavando, resti di edifici-romani o d’epoca barbarica.
Sull’isola fu consacrata nel 1138 una Chiesa dedicata a S. Andrea; tale data è la più antica a noi nota riguardante Gardumo.
Sul dosso di Castelverde, che sovrastava il lago di Loppio, vi era il ”Castrum Vetus”, antica residenza dei Signori di Gardumo.
Gardumo comprendeva la Val di Gresta, il Piano di Loppio e il Lago di Loppio, detto anche Lago di Sant’Andrea.
Quei signori probabilmente edificarono nei pressi del ”Castrum Vetus” e del lago la prima ”casa murata”, dove prima si sviluppò il palazzo di Loppio.
Nel 1324 gli ultimi Signori di Gardumo vendettero ad Aldrighetto di Castelbarco tutte le loro proprietà che comprendevano il ”Castrum Vetus” e la campagna di Loppio.
Da allora Loppio restò per secoli proprietà dei Castelbarco.
Ai piedi del dosso di Castel Verde vi erano antiche case abitate da ”manenti” dei Castelbarco chiamate i Citerini; l’abitato distrutto durante la Prima guerra mondiale, non venne più ricostruito; a meridione della statale per Riva si trova anche il Casom, bella cascina di tipo lombardo, posta di fronte al Palazzo Castelbarco.
Dal 1171 abbiamo notizia della millenaria causa fra le comunità di Brentonico, Mori, Nago e Gardumo per i diritti e le proprietà nella Bordina, che è il costone boscoso settentrionale del Monte Altisssimo.
Troviamo citato Loppio per la prima volta in un documento del 1256.
Le prime notizie di una sede castrobarcense a Loppio risalgono al 1389.
Dopo l’acquisizione dei quattro Vicariati i Castelbarco ricostruirono ed ampliarono il palazzo di Loppio, che elessero a sede dinastiale.
Nel 1703 il palazzo venne incendiato dai francesi del generale Vandome.
Ricostruito nel 1715 divenne una delle più belle ed importanti residenze nobili del Trentino.
Vi si trova l’archivio castrobarcense contenente i documenti della dinastia e delle giurisdizioni di Gresta e dei Quattro Vicariati, quasi totalmente disperso durante la Prima Guerra Mondiale il palazzo, posto nel mezzo del fronte italo-austriaco, venne saccheggiato e distrutto.
Dopo la guerra i Castelbarco ricostruirono solo una parte del vasto complesso e presso la chiesa vennero sistemate alcune arche castrobarcensi, fra cui quella dell’ultimo signore di Rovereto.

IL PALAZZO CASTELBARCO DI LOPPIO

Lungo la strada che dalla Vallagarina porta al Lago di Garda vi è il paese di Loppio, costituito da alcune case attorno ad una grande villa signorile; più avanti la strada fiancheggia l’alveo selvaggio dell’ex lago di Loppio fino al passo di San Giovanni.
La villa è ciò che oggi rimane del grande palazzo dinastiale dei conti Castelbarco-Visconti, in gran parte distrutto durante la Prima guerra mondiale.
Nella zona sono stati rinvenuti reperti d’epoca tardo-romana, particolarmente sull’isola di S.Andrea, situata nel mezzo dell’ex lago di Loppio.
Sull’isola fu consacrata nel 1138 una chiesa dedicata a S.Andrea; tale data è la più antica riguardante Gardumo.
Nel 1654, dopo l’estinzione della potente famiglia Madruzzo, i Castelbarco di Gresta ottennero la giurisdizione dei Quattro Vicariati; in quel tempo l’edificazione del grande Palazzo di Loppio, che doveva diventare una dimora degna della rinnovata potenza Castrobarcense; esso sorgeva sul territorio di Gresta, ma presso il confine con le giurisdizioni di Mori e di Brentonico.
Nel 1703 il Palazzo venne incendiato e distrutto dal generale Vedome nel corso della guerra di successione spagnola.
Venne poi ricostruito da Giuseppe Scipione, marito di Costanza Visconti ed assunse le dimensioni imponenti di una delle maggiori dimore dinastiali del Trentino.
Esso aveva una sessantina di stanze e vi erano la biblioteca e l’archivio castrobarcensi con i documenti provenienti dai castelli di Brentonico, Avio e di Gresta, riguardanti la famiglia Castelbarco e le giurisdizioni dei Quattro Vicariati e di Gresta.
Il conte Carlo Ercole costruisce nel 1818-20 la bella chiesa neoclassica dedicata al SS. Nome di Maria e bonificò le vaste proprietà che occupavano il piano di Loppio ed i fianchi del Monte Baldo e della Val di Gresta.
Al centro vi era il grande Palazzo dinastiale e ad esso collegati vi erano altri vasti edifici di servizio; nei dintorni si estendevano splendidi giardini, dei quali rimangono i ruderi della grande esedra barocca, del Kaffeehaus, dell’Orangerie o limonaia e di altri edifici.
Anche il Lago di Loppio faceva parte del parco del Palazzo con edifici di svago per i conti, con una peschiera, ponticello e altri manufatti.
Il vasto Piano di Loppio, bonificato, era una ricca campagna .
Lungo il Cameras, emissario del lago, che correva in galleria nel suo primo tratto, vi erano alcuni mulini castrobarcensi.
Venne bonificata con splendidi terrazzamenti, anche la campagna di Peal ”Giardino delle Esperidi”, e la campagna del Piantino, sui fianchi della Val di Gresta.
Tutta la grande proprietà castrobarcense, da Mori fino a passo San Giovanni, era ordinata come una novella ”Arcadia”, il cui centro era il grande Palazzo; la chiesa neoclassica di Loppio e le chiesette di San Antonio (1666) e di San Rocco (1680) si stagliavano nel mezzo delle campagne e dei giardini come templi antichi.
Durante la Prima guerra mondiale il Palazzo si trovò esattamente sulla linea del fronte e venne saccheggiato e bombardato dall’esercito austro-ungarico e da quello italiano.
Nel dicembre del 1915 Cesare Battisti, irredentista arruolato nell’esercito italiano, si avventurò tra i ruderi salvando quanto era rimasto del prezioso archivio castrobarcense.
Dopo la Prima Guerra Mondiale i Castelbarco ricostruirono solo una parte del grande Palazzo, e cioè l’attuale Villa Castelbarco e alcune dipendenze oggi abitate da altre famiglie.
Il campanile della chiesa conserva i fori dei proiettili, in memoria della guerra; a Loppio vennero inoltre portate le ”arche” dei Castelbarco provenienti da Avio e da Rovereto.
Quanto oggi è rimasto testimoniato in minima parte l’ordinata bellezza e lo splendore di Loppio e del suo Palazzo ammirati da viaggiatori e da letterati nel diciottesimo e diciannovesimo secolo.

I DIALETTI DELLA VALLE

Nella Val di Gresta si possono distinguere tre parlate, caratterizzate da sottili differenze, non sempre oggi chiaramente percettibili.
La parlata di ognuno dei sette paesi si differenziava inoltre un tempo da quella dagli altri per particolari in verità oggi difficilmente evidenziabili.
Qualche minima diversità si può inoltre talora riscontrare nei diversi gruppi familiari, ma spesso essa è dovuta ad accidenti assolutamente recenti e non importanti per l’insieme della comunità.
Tralasciando allora l’analisi di tali eccessive differenziazioni, consideriamo solo le tre principali parlate caratterizzano il dialetto della Val di Gresta: l’una è usata a Ronzo e Chienis, presenta caratteri più arcaici e simili, per alcuni versi, alle parlate dell’alta Val del Sarca o del circondario di Trento; l’altra è usata a Pannone, Varano (dove la parlata è  mista con la precedente), Manzano e Nomesino, è simile da un lato a quelle usate nella Destra-Adige (Vallagarina) e d’altro canto sembra presentare qualche elemento della ”Busa” di Arco e presenta talora alcuni arcaismi; la terza parlata è quella usata a Valle San Felice, che è simile alla seconda, ma sembra presentare alcuni elementi riscontrabili a Mori ed in alcuni paesi della Bassa-Vallagarina.
”I salmi del Signoredio: 150 salmi nel dialetto della Val di Gresta”, tradotti da Iginio Gentili con un gruppo pastorale di Valle San Felice, rappresentano la principale opera letteraria scritta nella parlata della Val di Gresta; essa venne pubblicata a Trento nel 1981.
Mori è apparentemente un abitato unitario, ma presenta in realtà la complessa situazione dovuta alla presenza di diverse ”ville” o paesi, ognuno con una propria antica tradizione ed individualità culturale.
Esistevano fino a qualche decina di anni fa, a detta dei più anziani, anche varietà dialettali, distinguibili fra le diverse ville.
Oggi sopravvive solamente una differenza di cadenza a Besagno, ma appena percettibile; non sono più evidenziabili altre particolarità o differenze nella parlata delle diverse frazioni, nemmeno dall’orecchio più esperto.
Si ascoltano invece ancora talune differenze tra la parlata di Mori e quelle di Val di Gresta, anche se esse non sono importanti e tendono progressivamente a scomparire.

Tratto da ” Conoscere la storia e i territorio
di Mori – Val di Gresta” relatore Dott. Alessio Less