LA VITA GUERESCA

Giacomo Beltrami nasce a Nomesino nel 1875. Egli fu richiamato alla leva il 2 agosto del 1914.
Quando partì per adempiere al suo dovere di suddito non era sposato e aveva già trascorso quasi dodici anni in America.
Durante la prigionia redige un diario, “La vita gueresca”, nel quale narra gli avvenimenti dall’agosto 1915 fino al maggio dell’anno dopo.(6)
Ci serviremo della  sua  testimonianza per  seguire gli  avvenimenti dalla  partenza alla prigionia. In una delle ultime pagine Giacomo rende noti i suoi intenti:
“io essendo presoniere hò voluto fare una memoria di quelo che hò veduto, hò provato, nei lunghi 8 mesi di bataglia”.(7)
Quando fu richiamato alle armi da Nomesino, si sposta a Innsbruck, dove poco dopo lo raggiungerà anche il fratello.
È inserito nella 12esima Compagnia e fa subito la conoscenza con Dionisio Dallabrida.
Egli rivela con molti dettagli ciò che accade: cosa mangiano, dove dormono e a quali ordini devono ubbidire. Interessante il momento in cui racconta l’arrivo di un superiore:

“In quel mentre è venuto un ufficiale aveva una quantita di fasse, egli nediede una per ciascuno, e poi mi dice, questa fassa metetela al bracio sinistro, peri dimani per le 8 di essere tutti quà, adesso potete
andare,  alora  il  nostro  ridere  sparì”.(8)

La  sera  prima  della  partenza Giacomo va a salutare il fratello e vedendolo piangere afferma:

“Perche piangi, giamai, per me quello che è statto e statto e non pensso più, se mi sara dato grazia di tornare […]Deve fare il Cuore come la Tigre e sangue fredo”.(9)

Come si osserva, c’è in lui un forte sentimento di rassegnazione, che porterà avanti per tutto il diario, sembra che Giacomo sia convinto che, una volta partito, non riuscirà a sopravvivere alla guerra.
La sera del 20 agosto 1914, i battaglioni partirono in treno in direzione della  Galizia,  passando  per   tutte le   principali  città  dell’Impero.
Il venticinque giunsero a destinazione e i militari, scesi dai treni, iniziarono la marcia verso il fronte.
Durante il cammino incontrano civili che scappano, carri di feriti, “fugivano per salvarsi la vita faceva pietà”.(10).
Giacomo e il suo compagno, Dionisio, si fanno una promessa: se uno dei due cade ferito, l’altro ha l’obbligo morale di soccorrerlo e di non lasciarlo sul campo di battaglia.
“Allo spuntar del giorno siamo arivati ai piedi di una colina dietro vi era il  nemico”(11) si  avvicina quindi il  momento della prima battaglia.
L’ufficiale tenta di fare un discorso motivazionale alle truppe: “noi non abbiamo paura dei nostri nemici […]e li ucideremo come cani”(12), >cerca di infondere coraggio ai suoi sottoposti ricordando che anche i loro antenati avevano combattuto, ma non si erano mai persi d’animo.
Quando giunge l’ordine di salire la collina, Beltrami si fa il segno della croce e parte assieme agli altri alla scalata. Il primo tentativo fallì, gli austro-ungarici furono sommersi da una pioggia di granate russe.
Il secondo tentativo andò a buon fine, riuscirono a raggiungere i campi dopo la collina.
Come da manuale, i soldati scavano delle buche in cui passare la notte, ma ricevono l’ordine di non addormentarsi perché il nemico era troppo vicino.
I soldati non mangiavano da due giorni e Dionisio si lascia sfuggire: “hò una fame da lupo”.(13)
“La mattina del giorno 29 verso le 4 i Canoni comincio adarmi il buon giorno”(14), con un pizzico d’ironia il Beltrami descrive la sua condizione, ormai quotidiana, di soldato.
Vedendo che da ore i nemici non si muovevano dalle loro posizioni, gli ufficiali ordinarono di andare all’attacco.
“Mi fece andare avanti gridando Ura, giunti alla distanzza circha 50 passi dal nemico le balle veniva come quando fiocha la neve”.(15)
Tenendo  fede  alla  sua  promessa,  quando  il  compagno  cade  ferito,  il Beltrami lo aiuta e lo porta in un posto sicuro. “sentì un lamento vicino a mè, mi vottai è non vedei il mio Compagno hà, era caduto; io senzza perdermi di coragio lò preso sotto le bracia e lò levatto in piedi, egli piangeva”(16).
In una delle pagine più realistiche e toccanti, il Beltrami si descrive come uccisore. Si trova protagonista di un corpo a corpo con un soldato russo. Non esita, agisce con freddezza e decisione, senza pentirsene. Scrivendo fa trasparire tutto questo con sincerità e chiarezza, non si nasconde dietro falsi moralismi.“ e  alzzo il  calcio é  fece un passo per colpirmi, ma  non fece  il secondo, io stando in ginochi presto puntai il mio fucile é feci fuocho egli cadde”(17), poi si ripara in una buca. Il russo, però, non è ancora morto e allora Giacomo si scaglia una seconda volta su di lui “Prendi velenoso serpente tu non avrai più la grazzia di andare in Russia e avantarti che hai uciso un Austriaco”.(18) Poco dopo, ripensando a quello che aveva fatto, gli viene da piangere e si mette subito a pregare, cosa che lo consola. Al nemico, a volte, riserva parole dure: “quei porchi di Russi vedonoun uomo e spara il cannone”8 (19), altre volte usa espressioni più poetiche come “cadeva come le foglie deli alberi lautuno”(20)  oppure “ dal bosco venivano fuori come formiche”.(21)
Come già accennato, nel corso della narrazione, Giacomo riflette sulla sua condizione precaria e sull’inevitabilità della morte “lé la quinta volta hò la sesta volta che la porto via, ma le in nutile un ora hò naltra dovro del sequro soccombere”.(22)  Arriva al punto di invidiare la sorte di un amico deceduto, “hé tù hò morte, perché non mi prendi; hé 8 lunghi mesi che io ti vado cercando”(23). Queste affermazioni di solito coincidono con la morte di un compagno o quando l’autore si trova in uno stato di profonda disperazione. Per due volte Giacomo dichiara di sentirsi perseguitato dalla sfortuna, quando la sua compagnia è scelta per fare la pattuglia e quando riesce a uccidere una lepre e il Colonnello gliela prende. Egli si sfoga così:“ ho malledetta sforttuna, quando finirai tio, di persseghitarmi, quando sarò morte”.(24)
Giacomo Beltrami racconta anche un episodio di tradimento da parte di alcuni civili galiziani. I soldati avevano ricevuto l’ordine di chiedere dei viveri agli abitanti di un paese, ma senza compiere violenza. Tutti risposero in maniera negativa e una donna, interrogata sul perché, ammise che “È il comandamento del nostro Capo Comune”(25) , iniziò quindi la ricerca dell’uomo. Trovarono un pozzo coperto di tavole in cui c’era“un uomo che gaveva il telefone che parlavano coi Russi, era il Capo Comune […]lo fecero legare e condotto dove era la peramide e legato ad una pianta”(26). Fu requisito tutto il cibo trovato e, in seguito, incendiato tutto il paese. Il Beltrami non si risparmia e definisce così il Capo Comune: “A traditore adesso tu pagherai il sangue di tantti nostri fratelli”.(27)
Giacomo riporta con molta precisione i dati sulla sua Compagnia, quando era stata formata, contava 260 soldati e il 3 novembre 1915 erano rimasti solo sessanta soldati abili a combattere.
Per un periodo Beltrami prestò servizio presso la fortezza di Przemyśl. Egli fa il resoconto di un tentativo di attacco, da parte dei russi, iniziato la notte di Natale del 1915 all’una. L’assalto è illuminato a giorno, grazie ai riflettori accesi dagli austriaci. Egli ci descrive tutte le diverse fasi: “venivano colpiti di fronte e da tutti i due fianchi […]verso le tre il nemico aveva cominciato a taliare i fili di fero, versso le cinque erano arrivati al
fosso del forte”.(28) La fortezza però era ben difesa e l’assalto russo fallì. Nel febbraio del 1916 il Beltrami riceve anche una medaglia al valore per essere riuscito a uccidere un russo, incontrato mentre lui e un suo compagno erano stati mandati alla ricerca di cibo.
Con il passare del tempo la situazione è sempre più difficile “>allora gavevamo da combatere cola fame col fredo col nemico coi pedochi, ha queli  non  mi  lassiava  un  minuto  in  pace” (29).  Qualche  pagina  dopo  il Beltrami aggiunge: “Mi pare impossibile che un corpo umano come possa fare aresistere alla fame al fredo le note strapazzate e pieni di peochi”(30). Giacomo in una casa diroccata trova uno specchio, si guarda. Aveva gli occhi  infossati, la  barba  lunga  da  quattro  mesi  ed  era  pallido.  La  sua reazione fu di spavento:“mi aveva fatto, paura: fugi via!”(31). Il 18 marzo il Battaglione  del  Beltrami  assieme  ad  altri,  lasciò  la  sicura  fortezza.  Il comandante  lo  avverte  che  la  sera  marceranno,  con  tutte  le  truppe disponibili, contro il nemico, l’obiettivo è spingersi il più vicino possibile ai Carpazi.  Purtroppo  fu  uno  sforzo  inutile,  i  russi  erano  in  un’ottima posizione e riuscirono a sconfiggere gli austro-ungarici. Questa fu l’ultima battaglia che Giacomo e i suoi compagni combatterono, il 21 marzo il Tenente annunciò loro che il giorno dopo si sarebbero arresi. Egli spiega ai soldati  passo  per  passo,  quello  che  dovranno  fare:  alle  sei  di  mattina spezzare e bruciare le armi, poi saranno bombardati i forti e infine sarà il momento di consegnarsi ai russi. Nella realtà successe tutto come previsto, i russi controllarono che  nessuno fosse armato e  poi  iniziò una  lunga e difficile marcia verso la Russia. Durante il cammino accade un episodio che fa emergere la bontà dei civili. In una pausa concessa ai prigionieri presso un paese, il Beltrami entra in un negozio a comprare del pane, quando esce, un cosacco lo frusta, egli cade tramortito. Alcune donne e il proprietario della bottega lo soccorrono, imprecando contro i russi. Giacomo usa parole forti nei confronti dei cosacchi: li definisce gente“ incolta è senzza nessunaciviltà è senzza Cuore, è brutali”(32). Durante la marcia, Giacomo dimostra ancora una volta di essere un uomo ingegnoso. I prigionieri sono costretti a rimanere tre giorni nello stesso luogo, senza che i russi fornissero loro alcun cibo. Il Beltrami riesce a inventarsi qualcosa di commestibile: “i fregolotti”, una sorta di gnocchi fatti con la sola farina. Tutti prendono spunto da lui, infatti, il giorno dopo, nel paese, non si trova più farina da comprare.
All’arrivo a Taškent in Uzbekistan, Giacomo pensa erroneamente di essere in Siberia, Beltrami resta un po’ di giorni in ospedale, quando esce, la sua compagnia era già partita, egli si dispera: era rimasto senza italiani. In quest’occasione si rallegra del fatto che sono trascorsi quattro mesi in cui non ha dovuto né lavorare, né combattere. Il 28 agosto ricomincia la marcia, dopo  tre  settimane raggiungeranno finalmente Press  spett  (località  non identificata) collocata da Giacomo in Asia. È qui che egli scrive il suo diario, dove troviamo anche alcune preghiere e poesie, tutte dedicate ai prigionieri. Né “Il lamento dei presoneri”, descrive la sua giornata-tipo da recluso.  Sono  costretti  a  lavorare  dalla  mattina  fino  alle  diciotto,  ogni giorno i cosacchi fanno l’appello e la conta dei prigionieri. Giacomo si lamenta del mangiare scadente: “ Che non la mangia gianche un porch”(33) e di essere costretto a dormire per terra, senza paglia. “Verrà col giorno che partiremo, versso il ponente che lasseremo questa gente, E allora potremo gridare viva. L’Austria”(34), egli è ancora speranzoso di tornare nel suo Trentino e per questo si appella anche a Maria e Gesù.
Nell’ultima pagina del suo diario disegna alcuni cannoni con delle matite blu. Queste sono le ultime notizie che abbiamo di Giacomo Beltrami, gli ultimi scritti sono tutto ciò che sappiamo.
È  rilevante cercare di  capire  i  motivi  che  hanno  spinto  Giacomo Beltrami,  ma  con  lui  moltissimi  altri  soldati,  a  stendere  un  diario.  In Trentino sono state ritrovate numerose testimonianze di militari, ma anche di profughi. Bisogna sottolineare che questa regione contava appena il 15% di analfabeti nel 1890, perché fin dai tempi di Maria Teresa l’istruzione elementare era obbligatoria.(35) La lontananza geografica, la mancanza di un destinatario, la  sensazione di  vivere  una  condizione che  uccide  l’io  fa emergere la necessità di imprimere le proprie esperienze sulla carta. Generalmente i soldati iniziano a scrivere i loro diari o quando sono in ospedale o prigionieri, osservando da fuori ciò che è accaduto loro. Si ritengono sopravissuti oppure vinti, in qualsiasi caso dei fortunati usciti vivi dal campo di battaglia. Nel diario stilano un bilancio, di solito sentono di aver fatto il loro dovere. La struttura di queste opere segue generalmente lo schema: partenza, combattimenti in cui si uccide e si viene uccisi, resa e prigionia. Il diario non ha un destinatario esplicito, ma in alcuni casi, come quello del Beltrami, si nomina il lettore, si richiama la sua immaginazione.

(6) Scritto su quaderno a righe (cm 18,2 X22), di fabbricazione russa, l’originale è conservato presso il Museo
Storico di Trento.
(7) Museo Storico Trento, Asp, La Vita gueresca, Giacomo Beltrami, p.51.
(8) Ivi, p.4.
(9) Ivi, p.10.
(10) Ivi, p.12.
(11) Ivi, p.13.
(12) Ibidem
(13) Ivi, p.14.
(14) Ivi, p.15.
(15) Ibidem.
(16) Ibidem.
(17) Ivi, p.17.
(18) Ivi, p.18.
(19) Ivi, p.22.
(20) Ivi, p.26.
(21) Ibidem.
(22) Ivi, p.34.
(23) Ivi, p.42.
(24) Ivi, p.38.
(25) Ivi, p.28.
(26) Ivi, p.29.
(27) Ibidem.
(28) Ivi, p.35.
(29) Ivi, p.36.
(30) Ivi, p.48.
(31) Ivi, p.43.
(32) Ivi, p.46.
(33) Ivi, p.56.
(34) Ivi, p.59.
(35) Antonelli Q., I dimenticati della Grande Guerra: la memoria dei combattenti trentini (1914-1920), Trento, Il margine, 2009, p.11.

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