VALLE SAN FELICE

RONZO CHIENIS

Ronzo-Chienis si trova in Val di Gresta ad un'altitudine di 1000 m s.l.m.,

PANNONE E VARANO

VALLE SAN FELICE

Il paese di Valle San Felice era chiamato in passato semplicemente Valle oppure Valle di Gardumo

MANZANO E CORNIANO

Il territorio di Manzano presenta un’area abbastanza regolare che circonda il paese ed una lingua di terra

NOMESINO

La porzione più orientale della Val di Gresta è occupata dal territorio del comune catastale di Nomesino

LOPPIO

Loppio contava 142 abitanti nel 1993 e 154 nel 2001

Il paese di Valle San Felice era chiamato in passato semplicemente Valle oppure Valle di Gardumo, mentre San Felice era la chiesa parrocchiale di tutti i paesi di Gardumo. Dal diciottesimo secolo sempre più frequentemente Valle San Felice vennero ad identificarsi, fino alla stabilizzazione del nome nella forma odierna avvenuta qualche decennio fa, con il contributo di Luigi Gentili.
La chiesa dei SS. Felice e Fortunato di Gardumo, eretta presso Valle, è citata per la prima volta nel 1224. Il paese si trova citato per la prima volta in un documento del 1259.
Nel 1339 Valle contava 22 fuochi, nel 1914 contava 442 abitanti, con 84 di Loppio; nel 1993 ne contava 253 e nel 2001, 267.
La superficie del comune catastale è di 429,4554 ettari.
L’attuale paese di Valle San Felice deriva da alcuni abitati distinti, rimasti probabilmente tali fino al diciassettesimo secolo.
VALLE è l’abitato posto alla sinistra del Rio Gresta; esso a sua volta deriva probabilmente da due nuclei di case, uno posto ad oriente , dove ora c’è la piazza, e l’altro posto più ad occidente, verso l’antico mulino. L’ARI o LA RI è verosimilmente citato nel 1259; oggi l’abitato è chiamato anche Sant’Anna dalla chiesetta costruita nel 1561 ed è posto alla destra del torrente.
Su di un dosso isolato e ben visibile posto ad est di Valle nel mezzo della valletta che scende dal Biaena sorge la chiesa pievano e santuario di San Felice di Gardumo.
Ad oriente di San Felice esisteva un tempo l’abitato di Rinzom, posto lungo l’omonima acqua, che ha lasciato traccia nella tradizione; esso sarebbe stato travolto da una frana 1648.

Sul territorio del comune di Valle si trova il maso abitato del Piantino, già di proprietà castrobarcense.
Si trova inoltre una parte di LOPPIO, quella posta alla destra dell’attuale strada statale per Riva, che comprende il Palazzo Castelbarco.
Valle San Felice è stato il centro delle diverse comunità di Gardumo nel corso del medioevo, qui infatti, vi era la chiesa parrocchiale e qui risiedeva l’arciprete.
La chiesa di San Felice, ricostruita nelle forme attuali nel 1585 è il più importante edificio della Val di Gresta; contiene la splendida cappella di San Felice, edificata nel 1704 da Cristoforo Benedetti.
Il territorio di Valle San Felice appare come una sorta di trapezio irregolare esteso prevalentemente a valle dell’abitato; esso è occupato da terreno coltivabile in proporzioni maggiori di quello degli altri paesi; notiamo poi che stranamente, a differenza di altri comuni catastali, l’area boschiva si estende prevalentemente a valle, anzichè a monte del territorio: occupa, infatti, il vasto costone sovrastante il Lago di Loppio.
La terra è adatta a qualsiasi coltivazione per l’altitudine (dai 220 ai 700 mt.) e per la perfetta esposizione.
L’agricoltura specializzata in prodotti come gelso, vite, tabacco e ortofrutticoli, è stata in passato la principale attività economica.
Esistevano un tempo attività di trasformazione dei prodotti agricoli ed in particolare due filande e, in epoca recente, una macera-essiccatoio per il tabacco.

Alla scoperta del Santo Felice

Alla scoperta del santo che dato il nome all’abitato, si sono avventurati in quattro: Barbara e Piera Ciaghi, Vittorina Rizzi, Antonio Ciaghi.
Tre fratelli e un’amica che, quando si sono messi sulle tracce della storia del martire e della pieve, non pensavano che sarebbero stati letteralmente risucchiati dagli studi per quasi cinque anni.
“A darci l’imput – racconta Piera – è stato don Ruggero Delaiti, fino a poco tempo fa parroco di San Felice. Chiacchierando con lui ci siamo accorti che il passato dell’abitato e dalla sua valle erano misteriosi”.
La storia delal val di Gresta effettivamente è misteriosa ed è andata perduta nel tempo: “Gli archivi che c’erano finirono prima bruciati, nel 1703, per opera dei francesi, poi scomparvero quando durante la Grande Guerra gli austriaci occuparono la canonica”.
Da un breve studio, il loro lavoro è diventato un libro: “San Felice di Val di Gresta, che in passato prendeva il nome dalla famiglia che l’aveva dominata prima dei Castelbarco.
L’opera è in attesa di pubblicazione e gli autori non si sbottonano troppo sui contenuti. “Ci siamo basati su testimonianze orali – prosegue Piera – abbiamo parlato con gli anziani, raccolto i dati sulle sagre, le tradizioni, le pratiche di devozione, i miracoli attribuiti a San Felice, l’uso di toccare fazzoletti sull’urna cone le sue reliquie per darli ai malati, o di deporre gli ex voto nella cappella”.
Poi naturalmente scritti e manoscritti: biblioteche e archivi della Fondazione Bruno Kessler, testimonianze lasciate nei diari, i racconti di quando il principe vescovo volle aprire l’urna alla pieve di San Felice e vi trovò un corpo avvolto nella seta rossa, quello del martire , e disse che si trattava di reliquie autentiche. Ancora, la costruzione della cappella per opera di Cristoforo Benedetti, poi dipinta da Antonio Gresta di Ala, o i figli illegittimi che si scopriva avessero i sacerdoti che si recavano presso le spoglie del Santo. ” Ciò che raccontiamo nel nostro lavoro è la storia del governo ecclesiastico che nei secoli si evolve in parallelo a quella civile”.




PANNONE E VARANO

RONZO CHIENIS

Ronzo-Chienis si trova in Val di Gresta ad un'altitudine di 1000 m s.l.m.,

PANNONE E VARANO

VALLE SAN FELICE

Il paese di Valle San Felice era chiamato in passato semplicemente Valle oppure Valle di Gardumo

MANZANO E CORNIANO

Il territorio di Manzano presenta un’area abbastanza regolare che circonda il paese ed una lingua di terra

NOMESINO

La porzione più orientale della Val di Gresta è occupata dal territorio del comune catastale di Nomesino

LOPPIO

Loppio contava 142 abitanti nel 1993 e 154 nel 2001

Per quanto riguarda l’origine del toponimo e del paese trova oggi sempre maggiori consensi l’ipotesi degli studiosi che ritengono Pannone, e quindi Gardumo, abitati da ”Pannoni”, scesi in Italia secondo Paolo Diacono con i Longobardi di Alboino. Si hanno notizie incerte di rinvenimenti preistorici mentre frequenti su tutto il territorio sono i rinvenimenti di epoca romana e tardo-romana, costituiti essenzialmente da monete, sepolture, embrici ed altri cocci. Incerti sono stati fino ad alcuni anni fa i reperti d’epoca barbarica quando presso la chiesetta di San Tome’ è stata rinvenuta una grande sepoltura d’epoca longobarda.
Il comune catastale di Pannone (mt 760) ha una superficie di 444.2653 ettari e si estende dai 220 mt di Nago, ai 1200 mt di Brugnolo ed ai 1285 mt. sulla dorsale del Biaena.
Il paese è posto su un vasto piano di campagna, solcato profondamente dal Rio Gresta e chiuso a sud dalle alture del Castel Gresta e ad est dal fianco boscoso del Monte Biaena.
Ad occidente l’altopiano di Castellano di Pannone guarda verso il Lago di Garda e si protende fino a Nago con una larga costa ovale coltivata, dove la tradizione localizza i paesi scomparsi di San Tommaso e più in alto di Corte, posti, come Pannone, lungo l’antica strada romana che dal Lago di Garda portava alla Destra-Adige. Pannone divenne il paese centrale di Gardumo dal quattordicesimo secolo perchè nelle sue vicinanze c’era Castel Gresta, dimora dei signori di Castelbarco e sede della giurisdizione di Gresta.
Nei primi decenni del sedicesimo secolo visse nel castello Nostra di Castelbarco, figlia del barone Nicolò, ricordata per la sua triste storia d’amore con un giovane dei Madruzzo, che erano i signori di Brentonico e nemici della sua famiglia.
Il castello fu conquistato e incendiato dai francesi di Vandòme nel 1703. Da allora la sede del giudice di Gresta fu a Pannone e nel paese si riunivano inoltre i massari o sindaci dei cinque comuni della giurisdizione, Ronzo, Chienis, Varano, Pannone e Valle, per deliberare sulle iniziative di interesse comune.
Al 1758 risale il primo statuto conosciuto, “Estratto del pubblico governo economico della comunità di Pannone” e al 1768 “l’Estimo generale dell’onoranda comunità di Pannone”. L’istruzione elementare obbligatoria venne introdotta verso il 1780. Durante il regno napoleonico d’Italia le cinque comunità di Gresta con Manzano e Nomesino costituirono il grande comune di Pannone, che ripropose così l’originaria unità amministrativa dell’antica pieve di Gardumo. Esso venne sciolto al ritorno degli Austriaci e si ricostituirono i sette o sei comuni precedenti.

Nell’Ottocento

Il nuovo piccolo comune di Pannone comprendeva nell’800 due frazioni, Varano e il Molino, ed inoltre due masi abitati, Naranch e Campedello; esso era il comune più popolato della Val di Gresta.
Il Molino è un abitato posto ad est del paese presso l’antico ponte sul Rio Gresta dove c’erano due o tre mulini dei quali fino a qualche decennio fa ne restò in funzione uno, che ancora oggi conserva la macchina idraulica; vi era inoltre una segheria e poco più a valle un’antica fucina con il maglio idraulico, che ancora oggi è funzionante; più a valle, in Pile, c’era un altro piccolo mulino.
A Castellano ed a San Tomè , dove si trova l’antica chiesta romanica di San Tommaso, vi erano diverse “casote” che servivano da stalle o deposito di campagna, ma non erano abitate.
Sul “Dos del saltèr” stazionava all’epoca dal raccolto una guardia campestre. Nei paraggi passava inoltre il famoso e romantico brigante Mariamoro, del quale si raccontavano nei filò le avventure e le malefatte.
Nel 1843 vennero liquidate le antiche giurisdizioni feudali ed anche Pannone e Varano furono inseriti nell’amministrazione tirolese e furono inclusi nel Giudizio distrettuale di Mori, rimase in attività fino al 1923.
I Castelbarco vendettero ad alcune famiglie benestanti del paese le loro residue, proprietà salvo il cocuzzolo del castello con i ruderi e la cappella dei Signori.
La disposizione geografica e la qualità delle campagne di Pannone permettevano un’agricoltura varia ed anche remunerativa con il gelso e il tabacco.
Le famiglie di Pannone dovettero godere di un certo benessere se verso la metà del secolo poterono permettersi la costruzione di un nuova, grande chiesa, dedicata ai santi Filippo e Giacomo, edificata fra il 1853 e il 1866, benedetta il 24 marzo 1867 e consacrata il 26 ottobre 1881. Il completamento e l’abbellimento della chiesa venne continuato per tutti quegli anni ed inoltre fu costruito un campanile, che all’epoca era il grande della valle.
C’erano a Pannone anche alcune famiglie benestanti, vi abitava il medico condotto di Val di Gresta, che gestiva l’armadio farmaceutico, c’era il curato e c’era la scuola elementare con due aule, che accoglievano gli alunni di Pannone e Varano.
C’erano inoltre artigiani, osti e panificatori.
A Varano vi era una fabbrica di coppi e inoltre si ricorda la fabbricazione artigianale dei chiodi.
Nel 1880 venne costruito alle Dosse il Forte (Blockhaus-Pannone) dipendente dal comando militare di Riva; Certamente anche questo nuovo cantiere determina un beneficio economico.
L’agricoltura, con il piccolo allevamento del bestiame, tuttavia l’attività economica prevalente. Nel 1854 l’abitato di Pannone contava 48 case e quello di Varano ne contava 14.

IL CASTELLO DI GRESTA

Aldrighetto, Giordano e sua moglie Nicca, Signori di Gardumo vennero investiti, nel 1225 dal Vescovo Gerardo, del ”dosso” di Gresta per costruirvi un castello.
Vi costruirono cosi negli anni successivi il Castello di Gresta, posto a sud del piano di Pannone nel mezzo della Val di Gresta che in gran parte dominava a vista e che dal castello prese poi il nome.
Nel secolo successivo il castello passò ai Castelbarco e divenne sicuramente loro feudo nel 1324.
Antonio Castelbarco, signore di Gresta, fu alleato di Venezia nel corso del quindicesimo secolo; ma nel 1497 accettò l’infeudazione di Massimiliano d’Asburgo, conte del Tirolo e da allora la giurisdizione di Gresta restò tirolese fino alla sua estinzione nel 1843.
Nel 1507 Massimiliano armò e fortificò il castello e nel marzo del 1508 i veneziani tentarono di depredare i paesi di Gresta: ‘‘ e andando tremila fanti dei loro ad ardere certe ville del conte d’Agresto, furono messi in fuga dai paesani, e mortine circa trecento ” (Guacciardini, Storia d’Italia).
Ma a Pasqua dello stesso anno il castello venne bombardato e conquistato da tre compagnie della Serenissima guidate da Giovan Battista Caracciolo, dal capitano Dionisio Brentonico e dal generale Emo.
Nel 1509 Niccolò di Castelbarco tornò in possesso del castello dopo la sconfitta di Venezia ad Agnadello.
Nel sedicesimo secolo barone Niccolò di Gresta fu l’unico sopravvissuto dell’antica famiglia Castelbarco e inizio il secolare causa contro il principe vescovo di Trento per recuperare i beni dei suoi avi ed in particolare i Quattro Vicariati; essi vennero invece infeudati alla famiglia dei principi-vescovi Madruzzo.
Nostra di Castelbarco, figlia del barone Niccolò, s’innamorò di un rampollo dei Madruzzo, nemici della sua famiglia a causa della lite per i Quattro vicariati.
Il padre ed i fratelli di Nostra osteggiarono l’amore dei due giovani e si oppongono al loro matrimonio.
Allora Nostra tentò il suicidio gettandosi dalla rupe del castello; tuttavia si salvò.
Era stata promessa sposa al conte Vinciguerra d’Arco che non volle nemmeno conoscere; ma dopo il tentato suicidio aveva, pentita, raggiunse Vinciguerra, che deluso aveva cercato la morte in battaglia in Lombardia ed era stato ferito gravemente. Alla fine Nostra e Vinciguerra si sposarono nella chiesetta di Caneve d’Arco dove un graffito ricorda la cerimonia nuziale.
Nel 1654 i Castelbarco di Gresta ottennero i Quattro Vicariati e ben presto si trasferirono nel nuovo Palazzo di Loppio; l’antico castello rimase la sede della giurisdizione.
Nel 1703 il castello venne incendiato dalle truppe del generale francese Vendome nel corso della Guerra di successione spagnola.
Il castello non venne più ricostruito e con l’andare degli anni si diroccò sempre di più fino a raggiungere il degrado odierno; nel bosco infatti riusciamo ad intravedere solo pochi ruderi, imponenti ma pericolanti.
Nel 1880-81 venne costruito un forte austriaco su un’altura nei pressi del castello, a conferma dell’importanza strategica del luogo.




RONZO CHIENIS

RONZO CHIENIS

Ronzo-Chienis si trova in Val di Gresta ad un'altitudine di 1000 m s.l.m.,

PANNONE E VARANO

VALLE SAN FELICE

Il paese di Valle San Felice era chiamato in passato semplicemente Valle oppure Valle di Gardumo

MANZANO E CORNIANO

Il territorio di Manzano presenta un’area abbastanza regolare che circonda il paese ed una lingua di terra

NOMESINO

La porzione più orientale della Val di Gresta è occupata dal territorio del comune catastale di Nomesino

LOPPIO

Loppio contava 142 abitanti nel 1993 e 154 nel 2001

RONZO. Pra da Lach e Bordala

I rinvenimenti preistorici e d’epoca romana sono stati sporadici; sono state invece rinvenute in passato diverse sepolture ”Barbariche” e alto-medioevali; a tale epoca dovrebbe risalire il cosiddetto Castello di Ronzo, forse di epoca longobarda, che sorgeva nei pressi dell’antico laghetto di Pra da Lach e del vasto Gaz.
L’attuale abitato di Ronzo si sviluppa da otto o piu’ raggruppamenti di case, originariamente distanziati tra di loro, anche se di poco e separati da corsi d’acqua.
Vi erano buona esposizione, ricchezza di sorgenti e abbondanza di terreno pascolabile e coltivabile.
L’assetto edilizio di Ronzo è stato letteralmente sconvolto negli ultimi trent’anni.
Gli antichi nuclei di case a tipologia arcaica, che non erano stati modificati nel secolo diciottesimo e diciannovesimo, come nei paesi dove si praticava la bachicoltura, sono ora difficilmente distinguibili fra le ricostruzioni, i rifacimenti e le nuove case.
La stessa antica chiesa di San Michele, eretta a meta’ strada fra Ronzo e Chienis nel 1561 su una più antica, presente da tempo immemorabile, è stata amputata dell’abside negli anni ’50, dopo la consacrazione della nuova chiesa; vi sono ancora visibili affreschi del quindicesimo e del sedicesimo secolo.
E’ pregevole il campanile del sedicesimo secolo, che un tempo aveva la punta più aguzza.
Già curazia di San Felice di Gardumo, la chiesa di San Michele è diventata parrocchia il 26 giugno 1943.
Ronzo è citato per la prima volta in un documento del 1215 e poi nel 1256.
Nel censimento del 1339 contava 36 fuochi.
Nel 1854 aveva 360 abitanti, 421 nel 1910 e circa altrettanti nel 1914.
Al censimento del 1991 contava 572 abitanti.
La superficie dle comune catastale, il più vasto di Val di Gresta, è di ettari 739,7185.
Secondo la tradizione l’economia di Ronzo era più pastorale che agricola; la prevalenza della pastorizia perduro’ fino al secolo diciottesimo e diciannovesimo per l’importante presenza delle proprietà dei conti Castelbarco (Gombim, Casom, Bordala, Biaém), i quali preferivano abidire la proprie terre di alta montagna all’allevamento piuttosto che all’agricoltura.
Le condizioni economiche di Ronzo, come quelle di Chienis, migliorarono verso la fine del diciannovesimo secolo, quando i Castelbarco vendettero le proprie vaste proprietà, che vennero acquistate in gran parte dal comune di Ronzo e da quello di Chienis e ridistribuite ai censiti secondo l’antico uso di ”PART”, rese coltivabili.
Si diffuse inoltre in quegli anni la coltivazione degli ortofrutticoli, patata e cavolo-capuccio, che venivano commercializzati.
La scuola elementare presente dal 1786 è unica per Ronzo e Chienis, con sede a Ronzo.
La moderna cooperazione si sviluppò unitamente con Chienis: 1900 sorse la Famiglia Cooperativa e nel 1902-03 la Cassa Rurale di Ronzo-Chienis; sorsero poi il caseificio sociale, derivato dal turnario, ed altre cooperative minori.
A Ronzo esisteva un mulino, già proprietà castrobarcense, in funzione alla seconda guerra mondiale; esistevano inoltre una segheria, una fucina ed altre botteghe artigianali.
Progetti di sviluppo turistico risalgono al 1914, ma solo dopo il 1960 venne lottizzato a fini turistici un tratto di bosco e pascolo a monte del paese, nei pressi di Pra da Lach, e vi sorse l’omonimo villaggio turistico.
Dagli anni sessanta vennero inoltre attivate alcune strutture ricettive ed impianti di risalita nella cosiddetta Bordala Alta; il turismo rimane tuttavia essenzialmente estivo, a motivo del clima mite.

CHIENIS

Chienis è ricordato per la prima volta in un documento del 1236.
Nel 1339 contava 40 fuochi.
Nel 1854 contava 412 abitanti e nel 1914 circa 550; al censimento del 1991 contava 440 abitanti.
La superficie del comune catastale è di ettari 579,0994.
In passato fu uno dei comuni della Giurisdizione di Gresta; dal 1923 venne compreso nel comune di Pannone e dal 1971 forma con Ronzo il comune di Ronzo-Chienis.
Le vicende storiche e lo sviluppo dell’economia sono simili a quelle di Ronzo.
Non si ha notizia di importanti rinvenimenti archeologici, anche se alcune aree del territorio appaiono interessanti.
Recentemente è stato scoperto verso Castil un tesoretto di grandi bronzi romani.
Il primo antico nucleo dell’abitato è quello situato su un rilievo circondato da un’acqua, che scende dal Creino, e che costituisce il centro del paese; quelle case sono chiamate ”castello”.
Successivamente il nuvleo si sviluppò ad oriente verso il Rio Gresta, alla sinistra ed alla destra della predetta acqua e, più a monte, lungo la strada che portava a Ronzo e Varano.
Ne risulta un abitato unitario costituito da cinque nuclei o isolati contigui e collegati fra di loro.
Dopo il secondo dopoguerra prese avvio un forte sviluppo edilizio in tutte le direzioni e soprattutto lungo l’attuale strada provinciale.
Durante la Grande Guerra Ronzo e Chienis vennero quasi totalmente evacuati e sorsero importanti installazioni e manufatti militari, particolarmente sul Creino.
Assieme a Ronzo sono state intraprese le diverse iniziative cooperative.
Dopo la Grande Guerra venne in particolare costituito il Consorzio Ortofrutticolo che aveva un laboratorio per la confezione dei crauti a Loppio.
Intorno al 1930 l’iniziativa venne ripresa e venne costituito un piccolo stabilimento di trasformazione a Chienis.
Nel 1972 il consorzio locale si trasformò nel ” Consorzio ortofrutticolo della Val di Gresta”, allargato a tutta la valle.
Ricordiamo infine la presenza anche di Chienis di un piccolo mulino, già castrobarcense, in funzione fino alla prima guerra mondiale, la presenza di una segheria e di alcune botteghe artigianali.

SANTA BARBARA

Sulla sella posta tra il Monte Stivo ed il Creino sorse all’inizio della Prima guerra mondiale un grande baraccamento militare austro-ungarico, il più importante dei dintorni, nel quale vi erano soprattutto artiglieri, che dal Monte Creino cannoneggiavano le postazioni italiane del Monte Altissimo. Il villaggio era collegato ad Arco da una teleferica elettrica, che raggiungeva la cima dello Stivo; era sufficientemente distante dal fronte, essendo nella prima retrovia, ed era confortevole sia per la truppa che per gli ufficiali, i quali potevano scendere con gli sci dalla cima dello Stivo o cavalcare verso Castìl e Bordala; la cucina era ottima e le granate cadevano lontano.
Nell’autunno del 1915 il comandante del II Absch. Sig. Colonnello lorez Covin propose di edificare nel mezzo del campo militare un capitello dedicato a S. Barbara; esso venne progettato dal comandante di battaglione Sig. Capitano Eduard Frick in forma di granata, come un grande ex-voto; venne infine costruito dall’Unt.-Jager Alois Pieler. Quest’ultimo era figlio di un capomastro di Bressanone e nell’esercito era addetto alla costruzione dei manufatti militari in cemento armato.
Il capitello, decorato con rami di abete, venne inaugurato il 4 dicembre 1915, festa di S. Barbara, patrona degli artiglieri. Davanti ad esso si celebrarono le messe da campo e divenne il centro ed il simbolo del grande villaggio militare. Alois Pieler mori poco dopo l’inaugurazione del capitello, colpito proprio da una granata mentre con la teleferica scendeva dal Creino per trasferirsi ad un altro fronte. Conosciamo la vita dei militari nel grande villaggio militare di S. Barbara soprattutto attraverso il diario del tenente Felix Hecht.




Itinerario – da Manzano

Le trincee del Nagià Grom, rese percorribili grazie al lavoro di ripristino e pulizia della Sezione ANA di Mori, vennero costruite ad anello sulla parte sommitale del monte. Percorrendole è facile rendersi conto della cura con cui vennero realizzate, seguendo scrupolosamente le norme regolamentari.

Il loro andamento tortuoso doveva limitare gli effetti delle esplosioni; in molti tratti sono ancora visibili i punti di appoggio delle strutture di copertura e il gradino in pietra sul quale i soldati salivano per osservare e sparare.
Il percorso è semplice ed adatto a tutti, il dislivello è minimo ed il tempo di visita dell’intero campo trincerato è di circa 1 ora.
Attraverso un ripido ma breve sentiero nel bosco, si raggiunge la località “Busa delle anime” dove è possibile vedere i resti di una cisterna d’acqua che durante la guerra veniva alimentata attraverso tubazioni.
Nei pressi si scorge l’ingresso di uno dei numerosi depositi scavati in roccia presenti sul Nagià Grom, utilizzati per materiali, viveri e munizioni o come ricovero. L’ingresso di queste caverne era sempre protetto da una parete di cemento armato o da sistemi che impedivano che le schegge prodotte dallo scoppio di proietti di artiglieria e gli effetti d’onda d’urto penetrassero all’interno.
Dalla cisterna il percorso prosegue in direzione nord-ovest dove è visibile un basamento con dei supporti in cemento, destinati ad ospitare i generatori dell’energia elettrica che veniva poi diramata nelle varie postazioni.
Proseguendo all’interno di una trincea, dopo poche decine di metri ci si imbatte in una croce (dono di Bruno Dorigatti, restaurata dalla Croce Nera Austriaca) con una targa che commemora i caduti dei due eserciti.
Poco oltre, una seconda croce ricorda la morte di tre bambini di Manzano provocata dallo scoppio di residuati bellici.
La trincea prosegue sul versante occidentale in direzione sud; la vista si apre verso le pendici del monte Baldo e la parte settentrionale del Lago di Garda.
Dopo alcune decine di metri si raggiunge la zona delle cucine: il lavoro degli Alpini ha reso nuovamente visibili numerosi fuochi e i resti di un camino per anni nascosti dalla vegetazione e da cumuli di macerie.
Come tutte le aree destinate a servizi, anche per realizzare le cucine l’esercito austro-ungarico aveva scelto un terrazzamento addossato alla roccia orientato verso nord; in tal modo l’area risultava invisibile agli osservatori italiani situati sul Monte Baldo e difficilissimo da colpire con le artiglierie.
Foto aeree dell’epoca testimoniano che l’intera area era coperta da tettoie di legno.
I lavori di disboscamento hanno messo in luce anche un manufatto di grandi dimensioni adiacente alle cucine.




Itinerario – da Valle San Felice

È possibile visitare le fortificazioni del Monte Nagià Grom per due distinti itinerari che in parte si sovrappongono.
Il percorso consigliato dagli Alpini inizia dalla chiesa di Valle San Felice, dove si lascia la macchina.
Presa subito la mulattiera pianeggiante che costeggia il cimitero, dopo poco più di mezzo chilometro ci si incammina sulla sinistra per la Val Piole, con una strada forestale in mezzo al bosco.
Il sentiero inizia a salire e si incontra sulla destra una postazione che serviva a controllare l’accesso al monte.
Proseguendo si giunge ad un punto panoramico con panchina da dove si gode di un splendido panorama sulla piana di Loppio e su Sano.
Dopo pochi passi sulla sinistra si nota una galleria, chiusa perché evidentemente pericolosa.
Salendo ancora si prende sulla destra giungendo ad un avamposto scavato nella roccia, con alloggiamento per la truppa e postazione per mitragliatrice.
Ritornati sui propri passi si giunge alla Busa dei Scatirei, piazzale dal quale prendendo la strada sulla sinistra si giunge alla provinciale tra Valle San Felice e Manzano mentre sulla destra si può andare a Manzano per un sentiero.
Il nostro itinerario prosegue invece diritti nel bosco, dove dopo alcune curve, svoltiamo sulla sinistra e ci infiliamo in una lunga trincea che ci porta fin nei pressi della grande grotta che era adibita a magazzino. Salendo lungo il pendio sulla sinistra dopo un centinaio di metri si giunge sulla vetta del monte, dove ci sono i resti dell’osservatorio, circondato in tutte le direzioni da una fitta rete di camminamenti.
Dalla cima si scende verso la croce realizzata con una putrella risalente al periodo bellico.
Da qui si gode di una vista stupenda su Manzano e Nomesino, mentre si scorgono la chiesa di Pannone, di Santa Apollonia e Santa Agata a Corniano.
Appena ad est della croce inizia la trincea che corona la cima del monte, lasciata la quale si giunge alla grande grotta chiamata dai grestani “dell’Angelo” o ”dell’Aquila”, per l’effige apposta sull’ingresso della quale rimane solo un pezzo dell’ala.
Proseguendo si giunge ad una strada che in breve ci porta alla cisterna, ai resti del basamento del gruppo elettrogeno e a un rifugio nella roccia.
Questa zona è stata teatro di una tragedia avvenuta dopo la conclusione della guerra, negli anni Venti, quando le nostre montagne erano animate dai recuperanti, che raccoglievano tutto quello che i militari, in tanti anni di guerra, avevano abbandonato.
Tre bambini di Manzano, tutti di cognome Bertolini, trovarono una bomba e maneggiandola la fecero esplodere accidentalmente.
Nella disgrazia due bambini morirono mentre il terzo rimase gravemente ferito. Ritornati sui propri passi si scende giungendo ben presto alla strada provinciale che porta a Valle San Felice, nei pressi del capitello poco prima del bivio tra Manzano e Nomesino.
Di qui, scendendo per la stradina sulla sinistra, si ritorna dopo un chilometro alla macchina.
Un percorso alternativo, più agevole ma meno completo, inizia in corrispondenza del suddetto incrocio.
Di qui, invece che salire per il ripido sentiero usato per il ritorno nell’itinerario precedente, si può prendere la strada che fiancheggia il monte sulla destra, dove si può lasciare la macchina prima della stanga.
Ci si incammina per la comoda mulattiera fino alla Busa dei Scatirei, da dove si può proseguire con l’itinerario precedente.




Itinerario – Mori Vecchio

Arrivati nel paese di Mori si va nella parte vecchia, Mori vecchio, nei pressi dei campi sportivi da tennis, li nella zona si trovano anche alcuni parcheggi.
Poco sopra i campi da tennis sulla sx fronte all’entrata di un bar c’è Via della Lasta.
Percorsi circa 200 metri si trovano i cartelli segnavia per le trincee Nagià Grom.
Si giunge a un incrocio si va verso destra dove è visibile il cartello informativo sulle trincee e i segnavia.
Qui incomincia il sentiero che porta verso le trincee.
Dopo un breve tratto di strada boschiva si vede il segnavia sentiero delle trincee, un breve sentiero con scalini in legno, alla fine della scalinata ci si presenta la prima trincea e le prime postazioni.
È un susseguirsi di brevi tratti di sali scendi fra sentieri boschivi e in trincea.
Alcuni sentieri anche se brevi sono serviti da un cordino di sicurezza, che funge come corrimano.

Durante il cammino si può apprezzare il lavoro di recupero che è stato fatto da parte dell’associazione alpini di Mori, e l’opera di costruzione fatta durante la guerra dai soldati, si noterà anche come sia sempre ben visibile il paese di Mori, la valle i monti circostanti.

Si giunge a una scala di soli 5 gradini, per risalire un muretto, si arriva su di un sentiero si va a dx ci si trova di fronte all’entrata di una postazione.

L’ingresso non è molto agevole però ci si passa, l’interno a forma di U sono pochi metri da percorre, all’uscita ci si trova in una trincee.

Fine della trincea si prosegue su sentiero boschivo si arriva in un piano erboso dove è presente una postazione che domina la valle e i monti attorno.

Proseguendo si continua il cammino dentro una trincea dove ci sono postazioni e un paio di passaggi brevi sotto le rocce, (per me il tratto più bello) per facilitare il percorso è stata fatta una scale di circa 20 gradini in ferro con protezione esterna.

Alla fine di queste trincea si fa un tratto boschivo si passa sopra un ponte di legno per attraversare un piccolo torrente.

Si prosegue salendo su sentiero boschivo, fino ad arrivare su di un pianolo, c’è un paletto con segnavia bianco rosso.

Qui si può proseguire a sx (paletto segnavia)si prosegue lungo una trincea, se no diritti su sentiero boschivo si arriva nello stesso punto (io a sx).

Alla fine di questo tratto ci si trova in un piccolo piano boschivo.

Fronte a noi un sentiero boschivo che porta in direzione del paese di Manzano, si prosegue a sx segnavia con freccia gialla su sasso e una su albero (non sono ben visibili) da qui mancano circa 30 minuti per arrivare Nagià Grom, si sale su sentiero è boschivo, con tratti serviti da cordino di sicurezza, e una scala con 7 gradini in ferro.

Al termine di questo sentiero si arriva alla Busa dei Scatieri, 5 minuti di cammino e si è arrivata al caposaldo del Nagià Grom, punto d’arrivo dell’escursione, per continuare a visitare trincee, camminamenti, postazioni.

Rientro: Si percorre il sentiero dell’andata, oppure si può scendere fino al paese di Manzano, da Manzano si prendere il sentiero boschivo che porta al bivio con le trincee;

Difficoltà: E escursionistica (Scala delle difficolta’ in montangna);

Tempo percorrenza: La salita comporta un dislivello di 550 metri; la visita richiede circa 5 ore, compresa la salita e il rientro da Manzano a Mori Vecchio tramite il sentiero della Lasta.

Si raccomanda la massima attenzione, in quanto il percorso è attrezzato con scale e presenta alcune difficoltà.




CONOSCERE LA STORIA E IL TERRITORIO DI MORI-VAL DI GRESTA

Relatore: Dott. Alessio LESS

Nei suoi sapori, nei suoi vini, nei suoi percorsi, nella sua storia. Solo così si può cogliere il tratto assolutamente particolare di questa vallata trentina, a pochi chilometri dal Lago di Garda, da Rovereto e dalla Vallagarina, da Brentonico e dal suo altipiano. Pochi chilometri che aprono ad un mondo unico, per il suo sviluppo geografico, per i suoi terrazzamenti, per il tempo ancora antico che scandisce la vita dell’uomo sull’orologio sapiente delle stagioni.

La Val di Gresta ha conservato il tratto agricolo dei suoi contadini, artisti sapienti di un territorio plasmato tra fazzoletti ubertosi di terra, e ne ha fatto il motivo principale della sua proposta di vacanza.
Un’esperienza intensa e leale in una valle in cui permane vitale il rapporto con la terra, produttrice feconda di prodotti di grande sapore, e si inorgoglisce per la sua bellezza, da cogliere assolutamente nello sviluppo delle quattro stagioni.

La Val di Gresta è una grande fattoria didattica, per piccoli e per grandi, che all’intimità con la natura sono disabituati, ma di cui avvertono il richiamo simpatico e arricchente. Come il bimbo che scopre il piacere della raccolta e della vicinanza con piccoli animali.

RONZO CHIENIS

Ronzo-Chienis si trova in Val di Gresta ad un'altitudine di 1000 m s.l.m.,

PANNONE E VARANO

VALLE SAN FELICE

Il paese di Valle San Felice era chiamato in passato semplicemente Valle oppure Valle di Gardumo

MANZANO E CORNIANO

Il territorio di Manzano presenta un’area abbastanza regolare che circonda il paese ed una lingua di terra

NOMESINO

La porzione più orientale della Val di Gresta è occupata dal territorio del comune catastale di Nomesino

LOPPIO

Loppio contava 142 abitanti nel 1993 e 154 nel 2001




IL CAPOSALDO

Archiviata la stupenda impresa della ricostruzione della Chiesetta di S. TOME’, sovrastante l’abitato di Nago, che ha dato tante soddisfazioni e riconoscimenti per la bellezza dell’opera finita, pur non trascurando la consueta attività del Gruppo Alpini Remo Rizzardi di Mori nei confronti dei Soci e della Comunità, si fa strada nella mente dei componenti del direttivo, l’idea di realizzare una nuova IMPRESA che susciti l’interesse per il recupero di testimonianze storiche, quasi completamente nascoste, nell’ambiente naturale a noi vicino e con esso mirare alla valorizzazione del territorio che le circonda sia sotto l’aspetto storico, didattico turistico, paesaggistico e panoramico.

Ci si prefissa che l’opera dovrà tener conto di aspetti essenziali:

• Recupero, ricostruzione e sistemazione di una porzione dei manufatti risalenti alla prima Guerra Mondiale del 1914-1918, ormai nascosti e sconosciuti, ubicati in una zona di facile accesso e raggiungibili in brevissimo tempo. In pratica salvare un patrimonio storico che altrimenti andrebbe definitivamente perso e dimenticato;

• Esecuzione del lavoro a regola d’arte allo scopo di ripristinare i manufatti conformi allo stato originale senza aggiunte o modifiche, quindi impiegando solo materiali esistenti sul luogo. Usando quei materiali smottati nel corso degli anni senza ricorrere a conglomeranti, calcestruzzi, mattoni., laterizi e altro;

• Riscoprire testimonianze storiche che tanta importanza hanno avuto nella vita dei nostri nonni;

• Offrire al visitatore la possibilità di ammirare, durante un facile e comodo percorso, la genialità delle opere ricuperate in un paesaggio ricco di bellissimi angoli naturali e stupendi punti panoramici.

Già nel 2000 alla festa del carnevale di Manzano a S. Apollonia, il consigliere Silli Francesco assieme a Bertolini Ivano profondo affezionato conoscitore del monte per avervi trascorso buona parte della sua fanciullezza, procedevano ad un sopralluogo sul monte Nagià Grom in mezzo ad una fitta e intricata boscaglia, alcuni tratti di quelle fortificazioni nascoste e confuse dai franamenti e dalla vegetazione, ne scoprono abbondanti vestigia, ne rimangono affascinati ed entusiasti.

Dopo aver coinvolto anche tutto il consiglio direttivo, si decide di intervenire sul sito prescelto. Solo nel 2001 anche i Patti Territoriali hanno previsto lavori di recupero di trincee in Val di Gresta con spesa stanziata a carico della Provincia di Trento.

A questo punto si convenne: perché non provvedere noi con le nostre mani? Come anzidetto un provvedimento così era già nei programmi del Gruppo: il Monte Nagià –Grom possedeva tutti i requisiti voluti, il lavoro si prospettava affascinante sia per la sua natura che per la disponibilità di noi Alpini i quali offrendo gratuitamente la manodopera dei propri volontari avrebbero consentito all’Ente Pubblico un notevole risparmio economico a beneficio di altri interventi.

Si parte subito nel programmare il lavoro..

Del progetto se ne fanno carico i consiglieri incaricati Francesco Silli, Ciaghi Mariano, Girardelli Franco e Bertolini Franco.

Dopo i primi sopralluoghi e la conseguente programmazione Silli predispone le domande di autorizzazione a procedere al Comune di Mori, agli organi competenti della Provincia, al Museo storico della Guerra di Rovereto e all’Ispettorato Forestale.

Al Comune di Mori si chiede l’assegnazione delle attrezzature occorrenti dal momento che il lavoro verrà eseguito nella quasi totalità manualmente.

Si chiede inoltre un contributo in denaro per l’acquisto dei molti materiali di uso corrente e non da ultimo per sostenere le spese di approvvigionamento dei viveri e bevande da rifocillare i numerosi volontari durante le indispensabili pause del faticoso e impegnativo, ma anche ricco di soddisfazioni, lavoro domenicale.

Si riesce a riunire un meraviglioso gruppo di volontari fra i Soci ed Amici di Manzano, San Felice e Mori e con essi, nella primavera del 2001, si inizia il lavoro che domenica dopo domenica si protrarrà per anni scanditi anche da momenti di gioia e di festa per i risultati raggiunti.

Queste trincee sono visitabili grazie al lavoro di ripristino, fatto dal Gruppo ANA (Associazione Nazionale Alpini) “Remo Rizzardi” di Mori.




COME NASCE UN MONUMENTO ….

A Mori, e più precisamente sul Monte Nagià Grom situato in Val di Gresta, viene eretto un monumento a quei Tirolesi che come Standschützen combatterono per la Patria e libertà.
L’Artista Rudolf Berti – Il Tirolese – è stato incaricato della sua esecuzione artistica e di e di erigerlo poi in collaborazione con i Welschtiroler Standschützen Gruppo Trentino ed il Gruppo Alpini di Mori.

L’aquila che ornava le uniformi degli Standschützen Tirolesi, riprodotta in bronzo fuso, verrà incastonata nella parte superiore di una bellissima pietra chiara, quasi calcarea. Nel testo bilingue, scritto in italiano e tedesco, si commemora i combattenti.

Il monumento verrà eretto nei mesi autunnali 2012, la data dell’inaugurazione si è dovuto rimandare per domande private ma sembra che farà l’ultima domenica di maggio 2013.

Descrizione della pietra

Il monolite sembra diviso in due parti: quella sinistra assomiglia a una veduta aerea di un paesaggio di collina, mentre quella di destra sembra ispirarsi a un paesaggio montuoso.
Proprio nel centro del sasso si demarca la divisione come se fosse il fronte di due nazioni che combattono.

Nel basamento rivolto verso trincea si possono notare delle inclusioni di colore rosso curo.
Sembra quasi che il sasso si sia intriso come una spugna del sangue versato. È così che vuole ricordare i sacrifici fatti in questo luogo nell’adempimento del dovere richiesto ai soldati.

La Nascita del Monumento

Nella parte superiore della pietra commemorativa viene incastrato un’aquila di bronzo.

L’aquila è stata modellata e fusa da Giuseppe Rama su incarico di Graziano Simonini e Mauro Ciaghi dei Welschtiroler Standschützen. È a loro che si deve ringraziare se è stato possibile commemorare quei soldati che in quei posti hanno faticato e versato il loro sangue per la Patria. Per loro è stato un profondo e sentito dovere il poter fare di persona alla realizzazione del monumento.

La dedica viene prima disegnata e incisa sulla pietra e poi scolpita a mano.

La vivacità e dinamica della scritta scolpita a mano non potrà mai, nemmeno in lontananza, essere eguagliata da un’incisione a macchina.

L’incisione definitiva della base.

Adesso mancano solo gli ornamenti in argento pregiato.




UN PO DI DATI

SCHEDA D’INTERVENTO

Tipologia:

Caposaldo austro-ungarico Lavori: Ripristino e manutenzione del caposaldo austro ungarico del Nagià Grom;

Intervento:

 Concluso Committente: Gruppo Alpini Mori “Remo Rizzardi” Referente: geom. Francesco Silli Proprietà: Comune di Mori (Tn) Consulenza storica: Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto;

In collaborazione con:

Distretto Forestale di Mori, Alpini di Manzano e San Felice, Servizio Conservazione della Natura e Valorizzazione Ambientale; Con l’aiuto di: Amici di Manzano, Valle San Felice, Bressanone, la S.A.T. di Mori, i ragazzi del Centro Diurno e delle scuole Medie di Mori;

DATI DIMENSIONALI:

SUPERFICIE AREA RECUPERATA: Circa 35.000 mq TRINCEE E CAMMINAMENTI RIPULITI E RESI PERCORRIBILI 1500 metri (è in corso il recupero di altri 200 metri in prossimità dei dormitori e della trincea che scende verso Valle San Felice); LUNGHEZZA PERCORSO DI VISITA: – 1 chilometro per il percorso lungo che segue la trincea attorno al caposaldo;

– 500 metri per il percorso breve che raggiunge i manufatti principali).

*****

Il lavoro, iniziato nel 2001 sulla cima del monte, ha visto il restauro di circa 2000 metri di camminamenti, il recupero di varie trincee, lo svuotamento dai detriti di alcune grotte e gallerie, per un totale di circa 8000 ore.

 

 

 

Il lavoro di recupero sta continuando sulle pendici del Grom e secondo le valutazioni dei promotori e dei volontari proseguirà poiché continue sono le scoperte nel fitto della vegetazione di nuove trincee, camminamenti, casematte e postazioni. Interessante e notevole l’aver messo in luce i resti molto leggibili delle cucine da parte di un gruppo di Amici provenienti dall’Alto Adige. Ciò significa che l’importanza dei lavori va oltre il nostro territorio.

Molte sono inoltre le visite di studio da parte di studenti di scuole e città diverse, che si stanno effettuando sul luogo, grazie anche ad una perfetta organizzazione dei funzionari del Museo Storico della Guerra di Rovereto ed alla nostra collaborazione. Sul sito è stata costruita una baracca di legno da adibire a deposito attrezzi. Quanto realizzato e si realizzerà in futuro è destinato a costituire un percorso turistico- storico per gli appassionati.

 

Rappresenterà anche un percorso della Memoria di ciò che è avvenuto in questi martoriati luoghi durante la guerra del 1915/18 rivolto soprattutto ai giovani per ricordare quanti hanno patito, sofferto e sono morti e che serva anche di monito e stimolo per una fratellanza fra tutti i popoli e Pace duratura.

 

L’area attualmente visitabile del caposaldo è frutto di un lungo lavoro di pulizia e ripristino.
La maggior parte degli interventi, concentrati nella parte sommitale, sono stati realizzati tra il 2001 e il 2009.
I primi interventi, iniziati nel 2001, hanno riguardato il ripristino degli accessi al monte, per consentire l’avvicinamento all’area di mezzi e macchinari : la Mulattiera, quasi impraticabile, che dalla chiesa di San Felice sale al Grom, è stata pulita dai sassi e dalla vegetazione che l’avevano ricoperta e il suo tracciato è stato allungato grazie a nuovi tratti scavati in vari punti e ricoperta di massi e boscaglia, è stata risistemata; un ulteriore sentiero che parte dal paese e vendita lungo il versante meridionale del monte è stato tracciato e lungo il percorso si sono recuperate le prime trincee.
E’ stata ripristinata anche alla stazione di arrivo della funicolare usata durante la guerra per il trasporto dei materiali.
In prossimità della cima, in un luogo nascosto dalla boscaglia gli Alpini hanno collocato una barracca di cantiere in lamiera, da utilizzare quale deposito per attrezzi.
A partire dal secondo anno di lavori, si sono resi necessari già i primi interventi di manutenzione dei sentieri e delle strade, migliorati e messi in sicurezza dei tratti più impegnativi.
Sono proseguiti poi gli interventi di disboscamento, di scavo di materiali franati, di pulizia di altri tratti di trincea.
Si è provveduto inoltre a collocare delle panche e dei tavoli per il ristoro in alcuni punti panoramici.
Il 2003 ha visto un buon avanzamento nel ripristino delle trincee principali del monte e da questo momento in poi, molti tratti sono stati sottoposti solo a manutenzione ordinaria, un lavoro che comunque richiede costanza, poichè si vuole evitare che al rapida crescita della vegetazione rischi di cancellare quanto fatto.
Nel corso dell’anno è stato terminato il recupero della trincea con vista su Valle San Felice e in autunno è stato disboscato l’ultimo anello di trincea che circonda la cima a difesa dell’osservatorio.
I lavori previsti dalla convenzione tra Alpini e Comune di Mori si concludono in anticipo.
Dato notevole il valore storico dei ritrovamenti, si decide di prorogare la più ampia zona pianeggiante che porta alla creazione di una radura per raduni e feste campestri; la ruota della vecchia croce in legno sulla cima con una nuova costruita da Franco Bertolinicon putrelle di ferro originali dell’epoca ritrovate durante i lavori. Spettacolare e avvincente fu la costruzione del basamento della stessa, per la quale si si avvalse di una teleferica improvvisata, ideata dagli amici di Manzano, che la resero possibile e funzionante con l’impiego dei loro trattori; si realizzò il pennone in ferro per l’esposizione della bandiera; il proseguimento della pulizia dell’anello di trincea di difesa dell’osservatorio nel suo dispiegarsi intorno alla sommità.
Tali opere vengono portate a compimento nel 2004 e 2005.
Gli Alpini a questo si impegnano nel voler restituire una visione completa di ciò che Nagià Grom era punto stato durante la guerra proseguendo il recupero ulteriormente di manufatti ancora celati dalla terra e dalla vegetazione e difficili da individuare per la mancanza di documentazione storica e fotografica.
In questa fase si mettono in luce nuovi tratti di trincee, vengonote dal materiale alcune caverne scavate nella roccia e si procede con lo svuotamento delle casematte e postazioni per mitragliatrice e artiglieria posti nel lato sud.
La baracca in lamiera, usata come attrezzi dagli alpini, è stata sostituita con una in legno che si adatta meglio nel paesaggio circostante.
Negli anni successivi viene individuato un sentiero abbandonato che da Mori Vecchio porta al Nagià Grom e comincia ad affacciarsi l’idea del suo recupero e messa in sicurezza al fine di creare una nuova via di accesso.
Il sentiero presenta un particolare interesse paesaggistico e storico in quanto, lungo il suo percorso, rivela la presenza di una lunga trincea in roccia, di ricoveri e di postazioni per mitragliatrici.

(Particolare della zona delle cucine, dopo l’intervento di pulizia)

Oltre alla consueta manutenzione del sito, vengono portati a termine alcuni significativi recuperi: è rimessa in luce la zona delle cucine ; sono individuati e ripuliti dalla vegetazione alcuni crateri di esplosioni provocate dalle artiglierie italiane del Baldo.
L’intervento più significativo è il ripristino di un osservatorio sul versante meridionale:
viene percorribile la trincea di accesso, ricostruita la copertura in legno, disboscata l’area circostante.
Sono inoltre collocate due croci : una in ferro donata dall’amico altoatesino Bruno Dorigatti restaurata da Alex Schwabl della Croce con targa commemorativa dei caduti dei tre bambini neri di Manzano morti nell’immediato dopoguerra a causa dell’esplosione di un residuo bellico.

L’area del Nagià Grom viene nel tempo dotato di una serie di indicazioni segnaletiche.
Inizialmente gli Alpini hanno collocato delle tabelle di legno su bali in larice con incise in giallo le località percorsi ei e hanno approntato delle bacheche in legno all’inizio dei sentieri di accesso al monte.

Nel 2006 l’amico Mario Tranquillini, cultore di avvenimenti storici ed esperto alpinista, sprona a por mano alla trincea che da Mori Vecchio si spinge fin sulle falde del Nagià, si collega a quelle esistenti per farne parte integrante.
Egli quella trincea l’ha ben chiara nella mente e le è anche riconoscente se non altro per avervi trovato riparo con la mamma durante le incursioni dei cacciabomardieri anglo-americani nella Seconda Guerra Mondiale tra il 1940/45.

L’invito fu subito accolto da Francesco. Entrambi avevano già considerato che detto manufatto entrava benissimo in un progetto molto più ampio, da loro vagheggiato da intitolare ” Da Mori al Lago di Garda in trincea “.

Questa prima parte di tragitto, tra Mori Vecchio e il monte Nagià Grom, è una trincea di grande interesse e suggestionività perchè è quasi totalmente scavata sulla parete rocciosa dominante la valle del Rio Cameras, ricca di postazioni e ricoveri in roccia, con arditi passaggi, attraversamenti di forre e stupendamente panoramica. Il suo ricupero si presentò assai arduo. Ma anche in questo evento gli Alpini non desistono: la disboscano, la ripuliscono, la ristrutturano e la percorribile in sicurezza con la posa di cordini, scalette, passerelle che ne fanno a tratti un sentiero attrezzato aggiungendo così un altro gioiello ai già tanti precedenti .

Queste ultime, nel 2009 sono state integrate con materiale informativo e pannelli di tipo storico e topografico realizzati in collaborazione col Museo Storico Italiano della Guerra.
Ulteriore intervento, realizzato tra il 2010 e il 2011 dal Servizio Conservazione della natura e valorizzazione ambientale, ha portato alla sistemazione della trincea di arroccamento che da Mori Vecchio sale al Nagià Grom grazie alla predisposizione di un sentiero attrezzato, alla posa di scale e cordini metallici nei punti esposti o pericolosi e alla generale messa in sicurezza del tracciato.
Fondamentale per tali lavori, la preventiva georeferenziazione con GPS condotta dagli Alpini.

( Provincia Autonoma di Trento “Rilievo Cucine e Cannoniera”)

Il recupero dell’area non si può dire concluso in senso assoluto, dato che le scoperte ei rivenimenti rimangono: recentemente ad esempio (2011/2012) è stata messa in luce una nuova postazione d’artiglieria e si sono trovati tracce di manufatti ad uso dormitorio e aree per baraccamenti.
Nel corso del 2013 si può concludere lo svutamento della cisterna da materiale di accumulo con posizionamento di un parapetto, il posizionamento di una copertura sull’area cucine, la creazione di una zona per il collegamento di un monumento , la creazione di un sentiero di visita dell’area dei dormitori.
Il percorso ripulito e recuperato dagli Alpini, richiede inoltre l’indispensabile manutenzione ordinaria, necessaria ad evitare che alla vegetazione ricopra di nuovo i manufatti, e che gli alpini si sono sempre impegnati a garantire.
Dopo tante ore passate sul Nagià Grom e tanta fatica, emerge ora un grande problema: l’area da gestire è molto vasta e sta diventando sempre più oneroso per gli alpini assicurare la propria costante presenza.