STORIA DEGLI ALPINI

Il 20 ottobre 1996 è stato celebrato il centenario della morte del Generale Agostino Ricci, al quale lo Stato Maggiore attribuì un significativo riconoscimento “alpino” nell’articolo commemorativo del novembre 1896 apparso sulla “Rivista Militare”.

“Nessuno conosceva le Alpi meglio di Ricci sotto il rapporto militare; nessuno era in grado di comandare meglio di lui un Corpo d’Armata in guerra nella zona alpina. Riguardo poi alle Alpi, Ricci ha un gran merito; l’essere stato il primo che familiarizzò con esse i nostri ufficiali. Egli era appunto comandante della Scuola di Guerra quando il Ministro Ricotti istituì gli alpini, né le dottrine del Ricci furono estranee alla buona idea del Ministro”.

Questa valutazione è di estrema importanza. Essa conferma quanto il Ricci stesso ebbe a scrivere nella lettera del 25 settembre 1894 laddove affermava:

“Quando nel 1868 studiai il primo progetto di campagna logistica per la Scuola di Guerra, mi colpì l’idea dell’utilità che vi sarebbe stata di avere una fanteria speciale da impiegare in montagna e volendo farne la prova idea di destinare a tale servizio alcuni battaglioni di bersaglieri mobilitati con le classi in congedo delle zone alpine in cui si doveva operare, e nella preparazione della campagna attuai tale concetto che, perfezionato nelle campagne successive, fece nascere l’idea delle truppe alpine come mi disse un giorno il Generale Ricotti che ne fu l’istitutore”.

La lettera con cui il Generale Ricci rivendicava la paternità degli alpini venne pubblicata in un articolo del Col. Oreste Zavattari nel 1908 sulla “Rivista Militare” distribuita in copia a tutti gli ufficiali alpini. L’articolo di Zavattari si concludeva auspicando, dopo 36 anni, che venisse finalmente fatta luce sulla vera storia degli alpini sul punto essenziale della loro origine, poiché se ne era attribuita la paternità il Cap. Perrucchetti a seguito di un articolo pubblicato nel maggio 1872 sulla “Rivista Militare”, pochi mesi prima della creazione del Corpo.

È strano che per quasi un secolo nessun altro abbia sottoposto ad un vaglio critico le affermazioni di Perrucchetti.

Tutto rimase nell’ombra fino al 1985 quando lo Stato Maggiore, dopo aver rintracciato i documenti originali, fece pubblicare sempre sulla “Rivista Militare”, due articoli che ristabilivano la verità storica, attribuendo ufficialmente la paternità degli alpini ad Agostino Ricci, chiarendo anche il motivo del tardivo riconoscimento. La spiegazione fu la seguente, poiché il Gen. Ricci era incorso in una dura polemica pubblica col Ministro della Guerra per questioni di spese militari, venne immediatamente rimosso dall’incarico di comandante del 2° Corpo d’Armata collocato in congedo e “punito ” con il silenzio sui suoi meriti “Alpini” per molti anni, fino a che tutti ignorarono come realmente si erano svolti i fatti.

Per chiudere la questione, sempre sulla “Rivista Militare”, uno dei più autorevoli studiosi della storia dell’Esercito italiano, il prof. Virgilio Ilari, sul numero di maggio del 1990 ricostruì la vicenda storica, contrastando la tesi del Gen. Emilio Faldella, che attribuiva al Cap. Perrucchetti l’origine degli alpini nel volume pubblicato nel 1972 in occasione del centenario del Corpo.

Va sottolineato il fatto che i preziosi documenti originali comprovanti il riconoscimento ufficiale della paternità degli alpini ad Agostino Ricci sono stati esposti dallo Stato Maggiore alle mostre “Militaria in Europa”, illustrati con conferenze a migliaia di visitatori e pubblicizzati in vari convegni di studio e su diverse riviste.

E’ significativo il ruolo svolto dalla “Rivista Militare”, sulle cui pagine è possibile ricostruire i tempi e i modi della complessa vicenda alpina, compreso l’incidente diplomatico che causò un articolo pubblicato nel 1874 dal Cap. Perrucchetti. La questione si concluse con la sostituzione del direttore della “Rivista Militare”, con una sanzione disciplinare a Perrucchetti e con un fitto scambio di note diplomatiche con l’Austria.

In sintesi, la vicenda storica dell’origine degli alpini si può riassumere in tre punti:

Primo: Perrucchetti era intervenuto da ultimo e da sconosciuto nel dibattito nazionale sulla difesa delle Alpi, il cui vero protagonista fu il suo insegnante alla Scuola di Guerra, il Ten. Col. Agostino Ricci di venti anni piú anziano, autore di molteplici studi e pubblicazioni in materia. Ricci organizzò con gli ufficiali della Scuola di Guerra alcune campagne di studio nella zona alpina, prevedendo la costituzione di speciali unità per la guerra in montagna a reclutamento locale;

Secondo: non è sostenibile la tesi secondo la quale il Ministro Ricotti dovesse a Perrucchetti l’idea di istituire 15 compagnie alpine, come afferma il Gen. Faldella. Infatti già nel gennaio 1872 Ricotti aveva presentato tre progetti di legge sull’ordinamento dell’esercito, uno dei quali prevedeva l’aumento di nove del numero di distretti militari, allo scopo di istituirne di nuovi alla frontiera alpina con le relative compagnie distrettuali. Da notare che Perrucchetti venne invitato dal Gen. Parodi soltanto nel marzo 1872 ad esporre il suo studio al Ministro, e si sa che le opinioni di uno sconosciuto capitano vengono presentate dal Capo di Stato Maggiore al Ministro soltanto quando questo è già pienamente convinto della bontà del progetto. Ma c’è di più: la giunta parlamentare per l’esame dei progetti aveva già da tempo proposto di radunare i soldati della milizia provinciale dei distretti alpini, istituita nel 1871, in “corpi speciali di tiratori” reclutamento locale. Quindi il progetto di Perrucchetti giunse ad un Ministro che aveva in materia idee assai più chiare di quelle del giovane capitano, tanto è vero che lo storico Piero Pieri nel suo libro “Le Forze Armate nell’età della destra”, riporta la seguente testimonianza:

“Circa la creazione del corpo degli Alpini, se ne contendono la gloria il generale Giuseppe Perrucchetti milanese e il generale Cesare Ricotti-Magnani. In realtà il problema era stato discusso già nel 1871-72 da diversi studiosi di questioni militari: in particolare il capitano Perrucchetti aveva fatto importanti studi che sviluppava poi nel volume, pubblicato nel 1884, la difesa dello Stato. Ma chi risolse tutte le difficoltà e superò ogni ostruzionismo, fu innegabilmente il generale Ricotti. Raccontava il generale Orero che verso il 1895, discorrendosi fra un gruppo di amici del Ricotti, lui presente, dell’attribuzione di tale merito al Perrucchetti, egli senza scomporsi si limitò a dire: “Cuntae, l’ai sempre credù d’essi mi, mentre ades sauta fora chiel . . sil” (Guarda un pò Ho sempre creduto di essere stato io mentre ora spunta questo quì! Ricotti-Magnani morì novantaduenne nella sua Novara il 4 agosto 1917″;

Terzo: Perrucchetti aveva un’idea estremamente riduttiva delle Truppe Alpine e, comunque, il ruolo degli alpini nella prima guerra mondiale venne esattamente previsto da Ricci, mentre quello descritto da Perrucchetti non venne mai completamente realizzato. Infatti Perrucchetti sostenne che le unità alpine avrebbero dovuto rappresentare delle avanguardie per l’azione di frenaggio nelle valli investite dall’attaccante. Al contrario il Ten. Col. Agostino Ricci sostenne che le unità alpine avrebbero dovuto svolgere una azione di arresto e aggiunse che il modo migliore di difendersi consisteva nel prendere l’iniziativa attaccando dovunque l’aggressore. In sostanza, secondo Perrucchetti, l’azione di copertura doveva rappresentare un’azione a se stante per dar tempo al grosso dell’esercito di radunarsi in pianura, mentre secondo Ricci la copertura era parte integrante della manovra generale, perché doveva impedire che le colonne avversarie giungessero in pianura per riunirsi e costituire la “massa”. Quindi, secondo Ricci, bisognava decisamente combattere sulle Alpi, e queste dovevano essere considerate una zona di arresto e non una zona di frenaggio.

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Giuseppe Domenico Perrucchetti e l’origine delle Truppe Alpine Articolo del prof. Virgilio Ilari pubblicato sulla “Rivista Militare” nel maggio 1990

Come i bersaglieri riconoscono ufficialmente il fondatore del corpo in Alessandro La Marmora, così gli alpini considerano Giuseppe Domenico Perrucchetti il fondatore del loro.

Si tratta di una tradizione indiscussa e tralatizia, e non sottoposta a vaglio critico neanche in opere recenti come quella del generale Faldella promossa dall’Associazione Nazionale Alpini in occasione del centenario della fondazione del corpo (1) e perfino quella, che si vuole maggiormente attenta ai canoni della storiografia professionale, dell’ex-alpino di leva Gianni oliva (2).

Perrucchetti deve in definitiva questa fama soprattutto al fatto di averla egli stesso alimentata, attribuendosi il merito di aver per primo proposto la creazione di truppe alpine nel volume La difesa dello Stato pubblicato nel 1884. Giungendo in tal modo, come ricorda Piero Pieri, a suscitare un lieve moto di irritazione perfino in un uomo come Ricotti, cui universalmente si riconosceva la pacatezza e che in definitiva aveva apposto la propria firma, accanto a quella del Re, al decreto istitutivo del 15 ottobre 1872. «Raccontava il generale orero—scrive Pieri—che verso il 1895, discorrendosi fra un gruppo di amici del Ricotti, lui presente, dell’attribuzione di tale merito al Perrucchetti, egli senza scomporsi si limitò a dire: Cuntac, I’ai sempre credù d’essi mi, mentre ades sauta fora chiel… sì!» (3).

In effetti Perrucchetti intervenne da ultimo e da esordiente in un dibattito assai complesso sulla difesa delle Alpi e sull’esigenza di costituire speciali unità per la guerra in montagna, a reclutamento locale, che durava almeno dal 1866, dopo le esperienze della campagna in Trentino, e dopo l’acquisizione del Veneto, che regalava all’Italia un confine militare estremamente svantaggioso caratterizzato dal minaccioso saliente della val d’Adige.

Nel dicembre 1871, quando era ancora Capo di Stato Maggiore della Divisione di Verona, Perrucchetti sottopose al proprio diretto superiore, generale Giuseppe Salvatore Pianell, un proprio studio su «la difesa di alcuni valichi alpini e l’ordinamento militare territoriale della zona di frontiera». Faldella riferisce, senza citare la fonte, che lo studio fu accolto da Pianell «con un sorriso bonario», e con le parole: «col reclutamento territoriale non potrete ottenere sufficiente disciplina; avrete delle compagnie di contrabbandieri e non di soldati». Comunque lo studio giunse (Faldella non specifica se per iniziativa autonoma di Perrucchetti oppure perchè trasmesso da Pianell) sul tavolo del comandante del Corpo di Stato Maggiore, generale Entico Parodi. Secondo Faldella i generali Parodi e Pompeo Bariola «invitarono, nel marzo 1872, il giovane capitano a riassumere il suo lavoro che fu presentato al Ministro della Guerra generale Cesare Ricotti Magnani. Questi, riformatore e organizzatore geniale ed ardito, esaminò il lavoro, lo elogiò ed invitò l’autore a pubblicarlo sulla Rivista Militare, allo scopo di attirare su di esso l’attenzione degli studiosi e di stimolare la libera discussione. E lo studio di Perrucchetti fu pubblicato sulla Rivista Militare del maggio 1872».

Che Ricotti, uno dei fondatori del Club Alpino Italiano nel 1864, dovesse a Perrucchetti l’idea di istituire 15 compagnie alpine tra le 4O compagnie distrettuali istituite presso i distretti di Cuneo, Torino, Como, Novara, Treviso, Udine e Brescia in virtù del regio decreto 15 ottobre 1872, come suggerisce Faldella, è del tutto insostenibile.

Come ricorda opportunamente in un articolo del 1985 il generale Pier Giorgio Franzosi (4), già nel gennaio 1872 Ricotti aveva presentato tre progetti di legge sull’ordinamento dell’esercito, uno dei quali prevedeva l’aumento di nove del numero dei distretti militari, evidentemente allo scopo di istituirne di nuovi alla frontiera alpina, con le relative compagnie distrettuali. Ma c’è di più: la giunta parlamentare per l’esame dei progetti, di cui facevano parte, oltre ai generali Bertolé Viale e Cosenz, anche due sostenitori di Ricotti come Corte e Farini, propose, tra le altre modifiche, anche di radunare i soldati della milizia provinciale dei distretti alpini, istituita nel 1871, in «corpi speciali di tiratori» a reclutamento locale.

Le proposte di Perrucchetti giunsero a un Ministro già pienamente convinto, e probabilmente con lei dee in argomento assai più chiare del giovane capitano. Del tutto inverosimile che Ricotti avesse disposto la pubblicazione di un estratto dello studio «allo scopo di attirare su di esso l’attenzione degli studiosi e di stimolare la libera discussione», come afferma Faldella. La decisione era già presa se appena quattro mesi e mezzo dopo la pubblicazione dell’articolo, e senza aspettare l’approvazione parlamentare dei progetti di legge in discussione, Ricotti provvide a istituire le compagnie distrettuali, di cui 15 alpine. Più semplicemente, trovandosi sottomano un testo già quasi «spendibile», avrà deciso di utilizzarlo per dare una anticipazione della riforma. Si può anche aggiungere un ulteriore indizio, e cioè il diverso modo in cui il saggio di Perrucchetti fu accolto da un comandante operativo, come Pianell, e da un organo di studio e proposta, come il comando del Corpo di Stato Maggiore. Se quest’ultimo credette di doverne dare informazione al Ministro, era perchè il testo giungeva a proposito, e collimava con l’orientamento già affermatosi nel Ministero.

Si potrebbe anche supporre che Ricotti avesse una intenzione particolare nel pubb1icizzare, fra i vari progetti di milizie alpine, proprio quello di Perrucchetti. Come ha ben messo in rilievo Franzosi, Perrucchetti aveva una concezione estremamente riduttiva delle truppe alpine. Anche se forse appare eccessivo fare di Perrucchetti un anticipatore della attuale teoria della «bivalenza» delle truppe alpine secondo la quale queste dovrebbero attenuare la fisionomia di truppe da montagna ed essere dotate di mezzi e armamenti adatti al combattimento in pianura (come suggerisce Franzosi, al quale evidentemente la «bivalenza>> non piace eccessivamente), è comunque indubbio che Perrucchetti concepisse le truppe alpine per la custodia dei valichi secondari, e per compiere un’azione che oggi chiameremmo di «frenaggio» del nemico nella fascia pedemontana.

Questo ruolo degli alpini era perfettamente in linea con la concezione strategica «difensivista» di Ricotti, che non si discostava da quella di La Marmora, secondo la quale «le Alpi si dovevano difendere non sui monti, ma sul Po e sull’Appennino», tenendo concentrate le truppe nella pianura Padana e prevedendo campi trincerati di ripiegamento in posizione arretrata sull’Appennino.

Ma questa tesi era già allora avversata da una concezione del tutto opposta, che, senza ancora sfociare nella strategia offensivista che sarebbe prevalsa negli anni ottanta, teorizzava la difesa avanzata sulla linea alpina.

E’ segno dei fraintendimenti che regnano al riguardo, il fatto che Gianni oliva, estrapolandone dal contesto alcune pagine, abbia fatto proprio del tenente colonnello Agostino Ricci il teorizzatore massimo della tesi difensivista e della precostituzione di «campi fortificati di rifugio» (5).

E’ chiaro che Ricci teneva presenti tutte le ipotesi. Ma il suo nome è semmai legato proprio alla tesi della difesa attiva sulle Alpi, in una ampiezza molto superiore a quella prevista da Perrucchetti. Come ricorda Franzosi, Ricci era dal 1868 insegnante di arte militare alla Scuola di Guerra di Torino, e aveva studiato i problemi della guerra in montagna sia sotto il profilo teorico (commentando il volume, tradotto anche in italiano, pubblicato dal generale austriaco Kuhn, che era stato l’avversario di Garibaldi nella campagna del 1866 in Trentino), sia sotto il profilo pratico, organizzando e dirigendo le campagne logistiche della Scuola di Guerra. Perrucchetti fu destinato a insegnare geografia militare alla Scuola di Guerra nell’aprile 1872, dopo essersi segnalato con lo studio trasmesso al comando del Corpo di Stato Maggiore: ma giungeva in un istituto il cui tono culturale era già profondamente permeato, oltre che da Ricci, anche da Marselli, titolare della cattedra di storia dal 1867 al 1875.

In particolare Ricci aveva assegnato alle istituende milizie alpine, ben prima della proposta di Perrucchetti, un ruolo del tutto diverso, e molto più corrispondente a quello che gli alpini avrebbero poi effettivamente svolto durante la prima guerra mondiale: e cioè non un’azione di semplice «frenaggio» (come suggeriva Perrucchetti), bensì di vero e proprio «arresto» e contrattacco in profondità. In sostanza —scrive Franzosi—secondo Perrucchetti l’azione di copertura doveva rappresentare un’azione a sé tante per dare tempo al grosso dell’Esercito di radunarsi in pianura, mentre secondo Ricci la copertura era parte integrante della manovra generale, perché doveva impedire che le colonne avversarie giungessero in pianura per riunirsi e costituire ‘massa’» (6).

L’art. 25 della legge di ordinamento 30 settembre 1873 ufficializzava l’esistenza delle «speciali compagnie alpine, nel numero da fissarsi secondo le esigenze del servizio», costituite presso alcuni distretti. Le prime 15 furono formate alla fine del 1872, in occasione della chiamata alle armi della classe 1852.

Salirono a 24, riunite in 7 battaglioni di 3-4 compagnie ciascuno, il 1° gennaio 1875, e a 36 riunite in 10 battaglioni, nell’autunno 1878.

Da notare che Mezzacapo le volle tutte sul piede di guerra con l’organico di 255 uomini, cioè quasi il triplo di quello delle altre compagnie di fanteria e bersaglieri.

In base agli ordinamenti del 1871,1873,1877 e 1880 non erano previste corrispondenti unità alpine di Milizia Mobile e di Milizia Territoriale. Alle compagnie alpine dell’Esercito Permanente erano infatti attribuiti compiti di guerriglia e di difesa locale, che richiedevano personale giovane e allenato: benchè riunite amministrativamente in battaglioni, erano concepite per essere impiegate autonomamente, in conformità con i procedimenti di guerriglia allora teorizzati anche nell’Esercito italiano, in particolare dopo le esperienze dei franchi tiratori del 1870-’71 (7).

Ricotti e Mezzacapo concepivano insomma l’impiego delle compagnie alpine più o meno negli stessi termini di Perrucchetti.

Una svolta decisiva si ebbe invece con il nuovo orientamento offensivista prevalente negli anni ottanta e Novanta. La struttura ordinativa degli alpini venne completamente modificata e il loro numero raddoppiato, riunendoli in unità tattiche di livello superiore alla compagnia, formate generalmente da un battaglione e da una batteria da montagna. Ciò serviva a rendere possibile un impiego offensivo delle truppe da montagna: a svolgere cioè quell’azione di «arresto» che era stata preconizzata da Ricci (8).

Il regio decreto 5 ottobre 1882 raddoppiò le compagnie, portandole a 72, riunite in 20 battaglioni non più contraddistinti con un ordinativo numerico (come le unità amministrative), bensì con il nome della «valle» alla cui difesa erano destinati, mentre le funzioni amministrative furono accentrate a sei nuovi comandi di reggimento. Inoltre furono costituite le prime due brigate di batterie da montagna (in tutto 6 batterie e 24 pezzi da 70 mm BR). Nuova espansione nel 1887, quando gli alpini raggiunsero la forza di 7 reggimenti, con 22 battaglioni e 75 compagnie e furono sottoposti ad uno speciale Ispettorato delle truppe alpine, retto inizialmente da Pelloux e poi dal generale Heusch, e l’artiglieria da montagna fu riordinata su un reggimento con 9 batterie. Inoltre nel 1888 il nuovo ordinamento della Milizia Mobile, previde 38 compagnie alpine e 15 batterie da montagna assegnate alle unità dell’Esercito Permanente.

Le unità di base delle truppe alpine (compagnie e batterie) dell’Esercito Permanente erano appena 84 su 1.800 circa (cioè appena il 4,7 per cento): ma erano ad organico di guerra (250 uomini e 5 ufficiali), mentre le altre erano al disotto degli organici di pace. Di conseguenza i 19.897 alpini e artiglieri da montagna corrispondevano quasi al decimo della forza bilanciata.

Nel 1902 si cercò di imitare il sistema austriaco delle brigate da montagna sostituendo l’Ispettorato con tre comandi di «Gruppo Alpino>>, ma nel 1909 si tornò al vecchio sistema, ricostituendo l’Ispettorato, mentre i 22 battaglioni furono ridistribuiti tra 8 reggimenti. L’artiglieria da montagna, salita nel 1894 a 15 batterie, fu ordinata nel 1909 in 2 reggimenti con 8 gruppi e 24 batterie, corrispondenti ai battaglioni attivi. Inoltre furono costituiti i nuclei di mobilitazione di 22 battaglioni della Milizia Territoriale con 75 compagnie.

Al 24 maggio 1915 l’Esercito Permanente comprendeva 8 reggimenti alpini con 26 battaglioni (79 compagnie), la Milizia Mobile 38 compagnie e la Milizia Territoriale 26 battaglioni con 62 compagnie. I battaglioni attivi erano contraddistinti da nomi di città dell’arco alpino, quelli territoriali da nomi di valli. Le unità di Milizia Mobile furono aumentate e costituirono battaglioni contraddistinti da nomi di monti. L’artiglieria da montagna contava 13 gruppi con 39 batterie, più 11 autonome mobilitate da reggimenti da campagna.

Virgilio Ilari

NOTE:

(1) Emilio Faldella, Storia delle Truppe Alpine, Associazione Nazionale Alpini, Cavallotti – Landoni, Milano, 1972, I, pp. 31-33.

(2) Gianni Oliva, Storia degli alpini, Rizzoli, Milano, 1985, pp. 22-28.

(3) Piero Pieri, Le forte Armate nell’età della Destra, Giuffré, Milano, 1962, p. 84, nt. 1.

(4) Pier Giorgio Franzosi, Le origini delle Truppe alpine, in Rivista Militare, n. 2, 1985, pp. 99-ll0.

(5) Oliva, op. cit., p. 27, a proposito di Agostino Ricci, Appunti sulla difesa dell’Italia, Torino, 1872, p. 34.

(6) Franzosi, op. cit., p. 102.

(7) Cfr. Conferenze sulla scuola di guerriglia per un ufficiale del 2° reggimento granatieri (Giuseppe Dal Pozzo), Torino, 1871, cit. in Piero Del Negro, Guerra partigiana e guerra di popolo nel Risorgimento, in Memorie Storiche Militari 1982, USSME, Roma, 1983, p.75.

(8) Sull’impiego degli alpini, oltre all’articolo di Perrucchetti, cfr. i seguenti interventi: F. Somale, Le compagnie alpine, in Rivista Militare Italiana, maggio 1878; V.E. Dabormida, La difesa della nostra frontiera occidentale in relazione agli ordinamenti militari odierni, Torino, 1878; G. Bertelli, Le truppe alpine nella difesa territoriale d’Italia, in Rivista Militare Italiana, marzo-aprile 1879; P. Fambri, La Venezia Giulia. Studi politico-militari, Venezia, 188O, o. Baratieri, La difesa delle Alpi, in Nuova Antologia, aprile 1882.

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Il diario del Col. Agostino Ricci sulle prime campagne tattiche della Scuola di Guerra che sperimentavano i primi reparti alpini.

IL MONUMENTO AI CADUTI

Monumento per ricordare i Compagni Scomparsi e i Caduti di tutte le guerre.

LA SEDE IL VIDEO

I MOTTI ALPINI

RELAZIONE MORALE

La relazione morale è uno strumento indispensabile per far conoscere e racchiudere tutte le attività organizzate nell’arco di un anno solare e l’andamento patrimoniale dell’Ente.

STORIA DELL'A.N.A. A FUMETTI

Trofeo Caduti di Mori

1° Classificato alla Gara è stato il
Gruppo Alpini Mori

FERRATA DI MONTE ALBANO

La via attrezzata "Ottorino Marangoni" è una via ferrata realizzata dalla Sezione C.A.I. - S.A.T. di Mori nel 1976 su una parete rocciosa.

MART ROVERETO

Il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto è un centro museale del Trentino

CAMPANA DEI CADUTI

La Campana dei Caduti di Rovereto è stata fusa con il bronzo dei cannoni delle nazioni partecipanti alla Prima guerra mondiale,

SANTUARIO DI MONTE ALBANO

Il santuario dell'Annunciazione della Beata Maria Vergine, anche noto come santuario di Montalbano è una chiesa sussidiaria a Mori, in Trentino. Risale al XVI secolo.

MUSEO DELLA GUERRA ROVERETO

Situato nel quattrocentesco castello di Rovereto, unica rocca veneziana in Trentino.

IL CAMMINO DI SAN ROCCO

Lungo il Cammino di San Rocco potrai attraversare molti paesaggi e trincee della grande guerra
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