Ogni domenica si continua a segare, tagliare, sfoltire, sfrondare, accatastare, triturare, sudare ma anche imprecare finchè quanto programmato da ristrutturare sia tutto ben evidente e si abbia la possibilità di ammirare a 360° le bellezze del panorama all’orizzonte.
Contemporaneamente alcuni avviano le fasi più faticose di tutta l’opera. Con badili, picconi carriole e mani asportano tutto il materiale caduto all’interno delle caverne e quello franato dentro le trincee fino a riempierle completamente. Sovente si trovano dei reperti.
(Materiale di recupero)
Poche cose sfuggite ai ricuperanti, come schegge di bomba, una o due bombe inesplose, cartucce, caricatori, resti di attrezzi da lavoro, utensili da cucina e tanti barattoli per viveri cui si da solo importanza ai fini della catalogazione.
Quello che però attira maggiormente l’attenzione è per quanto resta degli oggetti personali di soldati e ufficiali, quali frammenti di bicchieri e brocche finemente lavorate, cocci di piattini e tazzine da caffè istoriate, resti di pipe col fornello in ceramica recante l’effigie di un principe regnante, montature di occhiali da vista, resti di armoniche a bocca.
Questi creano il pretesto per sospendere per un attimo la fatica e soffermarsi a riflettere su quelle relique e andare con pensiero a quegli sfortunati ragazzi, ai quali forse lo scoppio di una granata nemica ha spento improvvisamente la vita senza nemmeno la gioia di un’ultima fumata, di una suonata in compagnia oppure della lettura di un tanto atteso scritto dei propri cari o dell’amata.
(Lattine e cocci di vetro recuperati)
Quanti saranno stati i ragazzi rimasti sepolti da queste pietre che con immane fatica avevano sistemato a loro baluardo, schiacciati dall’impietosa legge della guerra? A quante sofferenze, patimenti, tribolazioni, dolori avranno assistito questi luoghi? Queste e mille domande vengono spontanee nei momenti di pausa.
Poi, con questi interrogativi, si riattacca nuovamente a tagliare, scavare, ripristinare, sudare sacramentando contro l’avvento destino di quei martiri travolti dalla sciagura. Ed è in questa situazione di comune fatica fisica e sofferenza dell’animo che nascono o si rinsaldano le vere amicizie.
E così che continua per anni. Molti abbandonano altri si uniscono. Fra i nuovi, oltre agli Alpini ci sono amici, studenti, scolari, nuclei di altre associazioni, estimatori che per qualche domenica si rimboccano le maniche e si stancano di buon grado.
Notevole contributo sia manuale che storico arriva da impareggiabile gruppo di amici Altoatesini, guidati da Oswald Mederle, scrupolosamente documentato sulle vicende d’epoca della zona, con Bruno Dorigatti, Alexander Schwabl e altri, che dotati di muscoli vigorosi lasciano nella zona un segno tangibile del loro operato.
Con l’ausilio di tutti sono ripristinati camminamenti e trincee che in parte riacquistano il loro aspetto primitivo. Si rendono visitabili le postazioni per armi leggere e pesanti, la fuciliera, le caverne che furono scavate nella roccia e destinate a depositi, ricoveri o postazioni d’artiglieria, si dissotterra e si rende palese il complesso delle cucine con i fabbricati annessi, lavoro quest’ultimo che basterebbe ad appagare di tutte le fatiche profuse per la singolarità del rinvenimento.
Si provvede allo sgombrare dai detriti il basamento del potente generatore che alimentava di corrente elettrica tutto il caposaldo, l’adiacente cisterna per l’acqua, si sgomberò dai mastodontici massi e dai detriti la grande postazione per cannoni che a suo tempo era stata minata e fatta brillare non si sa da chi.