Il paese di Valle San Felice era chiamato in passato semplicemente Valle oppure Valle di Gardumo, mentre San Felice era la chiesa parrocchiale di tutti i paesi di Gardumo. Dal diciottesimo secolo sempre più frequentemente Valle San Felice vennero ad identificarsi, fino alla stabilizzazione del nome nella forma odierna avvenuta qualche decennio fa, con il contributo di Luigi Gentili.
La chiesa dei SS. Felice e Fortunato di Gardumo, eretta presso Valle, è citata per la prima volta nel 1224. Il paese si trova citato per la prima volta in un documento del 1259.
Nel 1339 Valle contava 22 fuochi, nel 1914 contava 442 abitanti, con 84 di Loppio; nel 1993 ne contava 253 e nel 2001, 267.
La superficie del comune catastale è di 429,4554 ettari.
L’attuale paese di Valle San Felice deriva da alcuni abitati distinti, rimasti probabilmente tali fino al diciassettesimo secolo.
VALLE è l’abitato posto alla sinistra del Rio Gresta; esso a sua volta deriva probabilmente da due nuclei di case, uno posto ad oriente , dove ora c’è la piazza, e l’altro posto più ad occidente, verso l’antico mulino. L’ARI o LA RI è verosimilmente citato nel 1259; oggi l’abitato è chiamato anche Sant’Anna dalla chiesetta costruita nel 1561 ed è posto alla destra del torrente.
Su di un dosso isolato e ben visibile posto ad est di Valle nel mezzo della valletta che scende dal Biaena sorge la chiesa pievano e santuario di San Felice di Gardumo.
Ad oriente di San Felice esisteva un tempo l’abitato di Rinzom, posto lungo l’omonima acqua, che ha lasciato traccia nella tradizione; esso sarebbe stato travolto da una frana 1648.
Sul territorio del comune di Valle si trova il maso abitato del Piantino, già di proprietà castrobarcense.
Si trova inoltre una parte di LOPPIO, quella posta alla destra dell’attuale strada statale per Riva, che comprende il Palazzo Castelbarco.
Valle San Felice è stato il centro delle diverse comunità di Gardumo nel corso del medioevo, qui infatti, vi era la chiesa parrocchiale e qui risiedeva l’arciprete.
La chiesa di San Felice, ricostruita nelle forme attuali nel 1585 è il più importante edificio della Val di Gresta; contiene la splendida cappella di San Felice, edificata nel 1704 da Cristoforo Benedetti.
Il territorio di Valle San Felice appare come una sorta di trapezio irregolare esteso prevalentemente a valle dell’abitato; esso è occupato da terreno coltivabile in proporzioni maggiori di quello degli altri paesi; notiamo poi che stranamente, a differenza di altri comuni catastali, l’area boschiva si estende prevalentemente a valle, anzichè a monte del territorio: occupa, infatti, il vasto costone sovrastante il Lago di Loppio.
La terra è adatta a qualsiasi coltivazione per l’altitudine (dai 220 ai 700 mt.) e per la perfetta esposizione.
L’agricoltura specializzata in prodotti come gelso, vite, tabacco e ortofrutticoli, è stata in passato la principale attività economica.
Esistevano un tempo attività di trasformazione dei prodotti agricoli ed in particolare due filande e, in epoca recente, una macera-essiccatoio per il tabacco.
Alla scoperta del Santo Felice
Alla scoperta del santo che dato il nome all’abitato, si sono avventurati in quattro: Barbara e Piera Ciaghi, Vittorina Rizzi, Antonio Ciaghi.
Tre fratelli e un’amica che, quando si sono messi sulle tracce della storia del martire e della pieve, non pensavano che sarebbero stati letteralmente risucchiati dagli studi per quasi cinque anni.
“A darci l’imput – racconta Piera – è stato don Ruggero Delaiti, fino a poco tempo fa parroco di San Felice. Chiacchierando con lui ci siamo accorti che il passato dell’abitato e dalla sua valle erano misteriosi”.
La storia delal val di Gresta effettivamente è misteriosa ed è andata perduta nel tempo: “Gli archivi che c’erano finirono prima bruciati, nel 1703, per opera dei francesi, poi scomparvero quando durante la Grande Guerra gli austriaci occuparono la canonica”.
Da un breve studio, il loro lavoro è diventato un libro: “San Felice di Val di Gresta, che in passato prendeva il nome dalla famiglia che l’aveva dominata prima dei Castelbarco.
L’opera è in attesa di pubblicazione e gli autori non si sbottonano troppo sui contenuti. “Ci siamo basati su testimonianze orali – prosegue Piera – abbiamo parlato con gli anziani, raccolto i dati sulle sagre, le tradizioni, le pratiche di devozione, i miracoli attribuiti a San Felice, l’uso di toccare fazzoletti sull’urna cone le sue reliquie per darli ai malati, o di deporre gli ex voto nella cappella”.
Poi naturalmente scritti e manoscritti: biblioteche e archivi della Fondazione Bruno Kessler, testimonianze lasciate nei diari, i racconti di quando il principe vescovo volle aprire l’urna alla pieve di San Felice e vi trovò un corpo avvolto nella seta rossa, quello del martire , e disse che si trattava di reliquie autentiche. Ancora, la costruzione della cappella per opera di Cristoforo Benedetti, poi dipinta da Antonio Gresta di Ala, o i figli illegittimi che si scopriva avessero i sacerdoti che si recavano presso le spoglie del Santo. ” Ciò che raccontiamo nel nostro lavoro è la storia del governo ecclesiastico che nei secoli si evolve in parallelo a quella civile”.